Un Giubileo «francescano»

Valle santa: attesa ed entusiasmo dopo l’annuncio dato da Papa Bergoglio. La terra reatina e i suoi santuari col messaggio del Poverello pronta ad accogliere pellegrini per l’anno giubilare straordinario dedicato alla misericordia.

La grande occasione della conversione è dunque sopraggiunta all’improvviso con il Giubileo. L’ha annunciato in una fredda mattina di marzo papa Francesco ed inizierà l’8 dicembre, giorno dell’Immacolata, a 50 anni esatti dalla chiusura del Concilio Vaticano II. Ma non prende Rieti alla sprovvista. Otto anni fa la Provincia e il suo Gal (Gruppo di azione locale) compirono un intelligente lavoro promozionale del Cammino di Francesco, che sarà al centro del Giubileo reatino, allacciando relazioni profonde con l’Associazione Rete dei Cammini d’Europa presieduti dalla spagnola Carmen Furelos, con l’Arcivescovado di Santiago, con l’Opera Romana Pellegrinaggi con la quale fu sottoscritta un’intesa; con la provincia galiziana di Pontevedra per uno scambio di pellegrinaggi; con i Gal di Portodemouros, Porto Marin, Ourense e della Marsica, pubblicando anche un testo in tre lingue, intitolato Per agros, cioè “camminando per i campi”, frutto di un progetto europeo di più istituzioni internazionali.

Dando l’annuncio del Giubileo della misericordia, il Papa ha sorpreso i suoi più intimi collaboratori ancora una volta, l’opinione pubblica mondiale e molto quella sabina. E di più ha colpito l’invito rivolto ai futuri pellegrini perché il Giubileo sia un tempo di conversione, un anno in cui si riconoscano gli errori personali, i peccati e si faccia il proposito di non commetterli più. Per esempio ed in piccolo, partendo dall’umbilicus Italiæ: che nei consessi civici cittadini ci si rispetti e non ci si insulti; non si scacci con la giustificazione dell’esser molesto chi è nella miseria e chiede l’elemosina e magari è venuto da paesi lontani e tribolati perdendo così la propria dignità di uomo; che il sabato sera i giovani di qui non s’ingozzino di birra per poi finire all’ospedale in coma etilico, rischiando la vita; che altri non imbrattino i monumenti, perfino quelli storici; che sia rispettata la vita dei bimbi e degli anziani e rigettata l’ideologia dello scarto e coltivato e rinsaldato l’amore nelle famiglie.

Piccoli e grandi gesti, dice il Papa, ma cominciamo da lì che poi verrà il grosso, perché ci si abituerà a riconoscere le colpe, le singole e le pubbliche. Il Pontefice ha anche dichiarato che questo del 2015 dovrà essere il Giubileo in cui si esalterà il valore della povertà, dell’umiltà, dell’amore verso gli altri, ritenendo il diverso come considereremmo Gesù Cristo, se avessimo la fortuna di averlo in casa. Cioè fidandocene, trattandolo da amico e amandolo.

Molti osservatori ritengono che il Giubileo della misericordia sembri fatto apposta per il francescanesimo di casa nostra, che non è quello giottesco di Assisi, stupefacente d’arte e di colori, ma quello dei pauperes, dei compagni di Fonte Colombo e di Greccio, della Valle Santa e dei suoi minuti e lindi conventi, delle sue chiesette disposte lungo la Via Francigena, del museo– tempio di S. Francesco al Terminillo e, tout court, del Cammino di Francesco e dei suoi cosiddetti ultimicentochilometri, che partendo da Assisi esaurisce le proprie tappe nella vallata e in Sabina e giunge fino alla Basilica di San Pietro, inglobando l’itinerarium Benedicti con l’antica abbazia di San Salvator Maggiore a Concerviano e la storica abbazia di Farfa in Sabina.

Insomma il Papa ha voluto affermare che il Giubileo è per i pellegrini e che lo svago e l’aspetto turistico devono essere soltanto utili risvolti e non l’obiettivo. Chi può, è giovane, è aitante, fresco di forze deve giungere a Roma con il sacco, il bastone, le sneaker, passando per i santuari. La strada da percorrere è a piedi per cui si faccia un poco di fatica, pregando e riflettendo sulla propria vita alla luce del Vangelo e di quella predicazione che san Francesco attivò quando giunse nei villaggi posti attorno al lacus Velinus e che egli imperniò sulla semplicità del saluto di Poggio Bustone, passato alla storia così: «Bongiorno bona gente!» e poi «Pace e bene!».

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