Tempo di vivere e tempo di morire

Non ci si fa troppo caso, ma uno dei tratti che caratterizzano il nostro tempo è la raccolta delle firme. Non c’è idea, posizione, istanza che possa aspirare a farsi strada da sé. È necessario presentare un bel po’ di moduli autografati perché un argomento o una proposta possa trovare un qualche spazio di reale discussione. Il numero delle firme – va da sé – varia secondo i casi. A rimanere fisso e immutabile è il principio burocratico del modello da riempire, presentare e archiviare.

È un uso, questo della raccolta firme, che ha anche una sua precisa liturgia. Ci vogliono gazebo, tavolinetti traballanti e poster fissati alla meglio. Quindi ci si ingegna per attrarre passanti in sintonia con l’argomento da sottoscrivere.

In queste settimane, anche a Rieti, può capitare di imbattersi in due situazioni di questo tipo. Sono infatti in corso due raccolte firme per scopi che sembrano legati ai capi opposti dello stesso filo.

Da un lato c’è lo sforzo dell’Associazione Luca Coscioni, dei Radicali, e di altri soggetti ancora per spingere il Parlamento a normare una qualche forma di eutanasia.

Specularmente, c’è la galassia delle associazioni “pro-life” che intendono ottenere dall’Europa un quadro giuridico che tuteli gli embrioni.

Il “filo” è il complesso panorama di temi bio-etici che accompagnano le zone “periferiche” dell’esistenza. Le due istanze si muovono in senso opposto: una rivendica il diritto di decidere della propria morte, l’altra vuole difendere la vita fin dal concepimento. Tuttavia sembrano anche avere qualcosa in comune.

Entrambe cercano di tracciare confini in un terreno che fino a pochi anni fa era del tutto sconosciuto. Certi problemi, infatti, sono il risultato dello sviluppo della tecnica, l’effetto della sua invadenza in ambiti che fino a poco tempo fa erano semplicemente lasciati al loro corso naturale.

È la capacità tecnica che rende possibile la nascita al di fuori del grembo materno; ed è ancora la tecnica che interviene in vario modo nella malattia terminale.

Prima di cercare l’elaborazione di norme specifiche, dovremmo forse incominciare a farci delle domande su cosa sia la tecnica e su come interviene nella nostra vita. Dovremmo domandarci in che modo l’acquisita capacità di manipolare la vita umana modifica i nostri desideri, i nostri valori e la nostra cultura.

Le nuove tecnologie permettono interventi sempre più efficaci sul corpo umano. Per questo richiedono un supplemento di saggezza, un sovrappiù di prudenza.

E, se possibile, dovremmo cercare le risposte al di fuori del sapere tecnico o tecnicistico della medicina e delle bioscienze.

Per quanto salvifiche e necessarie siano, la scienza e la tecnica sono portatrici di una contraddizione. Per loro natura trattano con occhio quantitativo ambiti in cui è il giudizio qualitativo che conta.

Guardiamo alle vite sospese degli embrioni: il laboratorio li può produrre e congelare, ma non sa dire nulla intorno a loro. Per le forme più fredde e distaccate del pensiero scientifico ci troviamo di fronte a qualche cellula, interessante per fare esperimenti e poco più. Eppure tutti noi siamo stati degli embrioni. Chi di noi avrebbe accettato di essere manipolato, congelato, distrutto?

Non sarà, con i dovuti distinguo – con il rispetto che si deve tanto al desiderio di maternità quanto a quello di una morte dignitosa – che troppo spesso ci lasciamo comandare dal nostro egoismo?

Non sarà che cercando nella tecnica la possibilità di affermare la retorica dell’autodeterminazione, finiamo con confondere diritti e desideri, soggetti ed oggetti, possibilità e necessità?

Cosa ci racconta tutto questo bisogno della tecnica medica e dalla tecnica giuridica? Ci perdoneranno gli attivisti, ma a vedere i banchetti per la raccolta firme ci viene un sospetto. Forse il problema è che non siamo nemmeno più capaci di venire al mondo e di andarcene senza un qualche aiuto. Proprio come non siamo più capaci di affermare una idea senza il conforto di una petizione.

Sembriamo espropriati pure delle più elementari capacità: forse è che avendo disimparato a vivere, siamo diventati incapaci pure di morire.

One thought on “Tempo di vivere e tempo di morire”

  1. carmen

    Come scrivere, in buon italiano, cose che, nel modo in cui sono esposte e argomentate, sembrano davvero poco utili a capire,

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