Il seminatore generoso

Gesù porta la Parola e la consegna senza alcun pregiudizio rispetto alle persone cui è destinata; queste ultime, nel racconto di Matteo, sono identificate con quattro luoghi, quattro terreni: la strada, il terreno sassoso, i rovi e la terra buona.

Il Vangelo di questa domenica è la celebre parabola del seminatore, il quale continua a seminare incurante, si potrebbe dire, del luogo dove il seme cade. Non indifferente è il legame con la prima lettura, nella quale Isaia sottolinea come la pioggia e la neve non calcolano dove scendere. Contadino distratto, allora? O piuttosto seminatore generoso, anche caparbio perché non lascia nulla di intentato nel tentativo di far attecchire il seme. Seminatore che ancor prima di raccogliere è venuto per seminare, e continua a farlo nonostante gli insuccessi, si potrebbe quasi dire. Si perché nella parabola il seminatore è Gesù che porta la Parola e la consegna senza alcun pregiudizio rispetto alle persone cui è destinata; queste ultime, nel racconto di Matteo, sono identificate con quattro luoghi, quattro terreni: la strada, il terreno sassoso, i rovi, e la terra buona.

Nel linguaggio di Gesù la parabola aveva la funzione di far comprendere facilmente, attraverso immagini e esempi di vita quotidiana, il senso del suo discorso; il suo non era un linguaggio complicato come “quello che usavano i dottori della legge del tempo”, pieno di rigidità e “allontanava la gente”. Linguaggio semplice, non una “teologia complicata”.

Gesù “non si impone, ma si propone”, afferma Papa Francesco all’Angelus; “non ci attira conquistandoci, ma donandosi: butta il seme. Egli sparge con pazienza e generosità la sua Parola, che non è una gabbia o una trappola, ma un seme che può portare frutto”.

Ecco allora l’importanza del terreno, cioè del cuore dell’uomo e della sua capacità di accogliere. C’è chi ascolta superficialmente ma non accoglie la parola: è il seme caduto lungo la strada e mangiato dagli uccelli. Il cuore “duro, impermeabile”, dice Francesco; la Parola “ci rimbalza addosso, proprio come su una strada”. Se “buttiamo un seme sui ‘sanpietrini’ non cresce niente. La parola non rimane; così come non fa frutto se non si ha perseveranza: c’è chi l’accoglie sul momento ma non ha costanza e perde tutto; c’è chi viene sopraffatto dalle preoccupazioni e seduzioni del mondo. Sono gli altri due terreni che Francesco sottolinea con le sue parole in questa “radiografia spirituale” del nostro cuore.

Il primo “terreno intermedio”, tra la strada e la buona terra, è quello sassoso, dove non c’è molta terra, per cui il seme germoglia ma non mette radici profonde. “Così è il cuore superficiale, che accoglie il Signore, vuole pregare, amare e testimoniare, ma non persevera, si stanca e non ‘decolla’ mai. È un cuore senza spessore, dove i sassi della pigrizia prevalgono sulla terra buona, dove l’amore è incostante e passeggero. Ma chi accoglie il Signore solo quando gli va, non porta frutto”. L’altro terreno intermedio è fatto di rovi: la parola arriva, ferisce, ma il cuore è soffocato da altre presenze potenti e dominanti. I rovi, ricorda Francesco, rappresentano “la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza”. I rovi “sono i vizi che fanno a pugni con Dio, che ne soffocano la presenza: anzitutto gli idoli della ricchezza mondana, il vivere avidamente, per sé stessi, per l’avere e per il potere”.

La terra buona, infine, è il cuore che accoglie, che non ha pietre e rovi, o che è “stato curato”, che si è affidato alle cure del seminatore. Gesù, dice Francesco, ci invita “a lavorare sui terreni non ancora buoni. Chiediamoci se il nostro cuore è aperto ad accogliere con fede il seme della Parola di Dio. Chiediamoci se i nostri sassi della pigrizia sono ancora numerosi e grandi; individuiamo e chiamiamo per nome i rovi dei vizi. Troviamo il coraggio di fare una bella bonifica del terreno, una bella bonifica del nostro cuore, portando al Signore nella confessione e nella preghiera i nostri sassi e i nostri rovi”.