Schneider, Solsonica e la città morta nell’indifferenza

Martedì 25 novembre, gli operai della Solsonica e della Schneider Electric di Rieti hanno nuovamente fatto sentire la propria voce. Prima occupando la Salaria, poi risalendo verso il centro fino per portare i propri delegati in Prefettura.

Un percorso doloroso. Non per le distanze e per il freddo, ma per la condizione di debolezza in cui è stato compiuto. La debolezza di chi sembra ancora avere il diritto di gridare, ma non quello di avere risposte. Quasi che la sua fosse una voce che proviene dal passato, da un modo di vivere e produrre che oramai non s’usa più. Quasi che l’operaio, in fondo, sia una sorta di fossile vivente, che si incaponisce ad abitare un tempo che non gli compete.

Lo si percepisce dall’indifferenza con cui la città ha accolto il passaggio del corteo. Il silenzio non l’ha intimidito, ma ce l’aveva comunque tutto attorno. La risalita verso il centro ha interessato soprattutto cameraman e fotografi. Per il resto è stato un po’ come se gli operai non ci fossero. I cantieri di piazza, ad esempio, non si sono fermati, neppure per curiosità. Quasi come a negare un minimo di solidarietà da lavoratore a lavoratore, come per disconoscere che il problema di alcuni oggi potrebbe essere il problema di altri domani.

Più sensibili si sono dimostrate le istituzioni, in qualche modo sempre presenti al fianco dei lavoratori, ma anche sempre più impotenti. Sembra quasi mancargli la forza contrattuale: hanno dietro 50.000 cittadini, è vero, ma divisi in piccoli gruppi, discordi su molto, disimpegnati su quasi tutto. Difficile fare la voce grossa con una base così. Per ottenere risultati ci vorrebbe compattezza.

Come quella vista con la sanità. In difesa dell’ospedale si sono ritrovate tante forze vive. Associazioni, sindaci, sindacati, cittadini, categorie. Tutti uniti in uno sforzo comune, sono riusciti ad essere soggetto, a dettare l’agenda, a portare a casa un qualche risultato.

Dietro ai lavoratori c’è molto, molto meno. Ci sono i sindacalisti, ma non le associazioni, non il mondo del volontariato e nemmeno gli ordini professionali. E di sindaco si vede solo quello di Rieti.

Viene da chiedersi perché agli operai tocchi tutta questa solitudine. Qualcuno dirà che il lavoro è un bene minore della salute. Forse è vero, ma il male che si sta mangiando Rieti con appetito non si cura di certo al de’ Lellis.