Giugno Antoniano

Sant’Antonio ha seminato la parola di Dio. Ne sono venuti i frutti di giustizia e di pace

Rivolgendosi a quanti si sono ritrovati in Sant'Agostino nel giorno di Sant'Antonio, il vescovo Domenico ha invitato a raccogliere la sfida demografica ed educativa

Il segno della ripresa di una vita, se non normale, sicuramente meno condizionata dai confinamenti della pandemia: è la lettura offerta dal vescovo Domenico a quanti si sono ritrovati nella basilica di Sant’Agostino per vivere insieme la festa di sant’Antonio. Perché pur dovendo scontare ancora molti limiti, è vero che in questo Giugno Antoniano si respira un’aria positiva, quasi di rinascita.

Non a caso, parlando del santo, mons Pompili ha sottolineato la sua particolare sensibilità verso i bambini, presi anche come immagine della qualità delle relazioni tra le generazioni. E ad essi ha aggiunto l’altra attenzione di Antonio, quella per i temi della giustizia e della pace. Il riferimento è al Pane di Sant’Antonio: l’offerta che veniva fatta dalle persone più semplici, in proporzione al peso del bambino, quanto a grano e a pane, per i più poveri.

Due atteggiamenti che dicono quanto Antonio fosse «un’incarnazione puntuale e credibile del Vangelo», e ne fanno un riferimento per misurare la nostra distanza da esso. Ma nel momento in cui ci si scopre lontani, non c’è da disperare. Si può crescere nella fede come un albero da un tenero ramoscello, o un uomo da una cellula, piccola al punto da sfuggire all’occhio. Anche se «il problema della nostra generazione è che intorno a noi si vedono sempre pochi bambini, perché ne nascono di meno». È stato bello che per animare la liturgia il maestro Elio de Francesco abbia diretto il Coro di voci bianche della basilica di Sant’Agostino, ma la loro presenza ha forse forse reso più evidente una società invecchiata, nella quale i bambini sono una presenza minoritaria. Con l’aggravante sensazione di vivere in un tempo che li ritiene «come degli adulti in formato bonsai, che non hanno bisogno di nulla e che perciò debbano essere in qualche modo abbandonati a sé stessi».

Una situazione che denuncia l’assenza di un investimento «su questo tempo che separa dal piccolo ramo al grande albero». E se questo accade, se i bambini vengono trattati come dei grandi, è forse in ragione di un altro fenomeno: quello dei “grandi bambini”, degli «adulti che non accettano la sfida dell’educazione perché non è affar loro, perché sono troppo concentrati sulle proprie priorità, al punto da lasciare i bambini al loro destino».

Tutt’altro insegnamento è quello di Gesù che nel Vangelo parla di «un piccolo seme che germina e cresce all’insaputa dell’agricoltore che lo ha seminato», e del granello di senape, «che è il più piccolo, ma quando viene seminato cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra». Il linguaggio di Gesù è modesto, quasi ingenuo, «ma ci fa comprendere la potenza della vita: quando infatti si semina bene, si raccoglie sempre qualcosa di grande».

Un insegnamento che peraltro dovrebbe consolare da un certo sentimento di fallimento e inconcludenza, come quando «abbiamo la sensazione di raccogliere l’acqua con un canestro che la fa continuamente disperdere». Il messaggio rivolto agli educatori, agli insegnanti, a chiunque abbia a cuore le sorti di quelli che stanno crescendo, è che «l’educazione è un po’ come il lievito che lentamente fermenta la pasta»: un processo lento, invisibile, ma «quasi inarrestabile, e che ci lascia stupefatti».

Ne è la riprova la vita del vescovo Lorenzo Chiarinelli, ricordato per l’occasione, che tanti hanno avuto come maestro. La sua testimonianza in questo senso è stata proprio segnata dallo scarto tra quello che oggi si semina e quello che diventa grande domani. Una consapevolezza che però non lo ha mai indotto a distogliersi dall’impegno quotidiano. La forza per riuscirci si trova nel riferimento a Gesù, che fa capire ai suoi interlocutori che «non debbono scandalizzarsi se il regno che si inaugura attraverso la sua presenza sembra avere fattezze modeste, quasi insignificanti». Perché essere come Gesù è essere visionari, capaci di cogliere l’ondeggiare del grano maturo quando a mala pena spunta qualche filo verde dal terreno.

«Penso che anche noi adulti, se non vogliamo essere “adulti bambini”, dobbiamo recuperare questo sguardo visionario, e mai come in questa stagione post pandemia dobbiamo farci carico di questa grande sfida che è l’educazione, che non può essere derubricata ad una catastrofe. Ma dev’essere invece colta come un’opportunità a tutti i livelli: l’università, la scuola, la famiglia, la parrocchia. Non dobbiamo mai dimenticare – ha concluso il vescovo – che Dio non pianta alberi, ma getta semi. Come ci ha mostrato Gesù e come ha fatto sant’Antonio, che ha seminato attorno a sé la parola di Dio. Ne sono venuti i frutti di giustizia e di pace: nella monotona ripetitività di ogni giorno, quando seminiamo bene che stiamo in realtà costruendo il futuro».