Rieti? Non basta tenerla pulita

In questa fine di agosto si concentra una notevole quantità di eventi e iniziative. Ma a cosa servono tutti questi spettacoli? Sembrano un modo per fuggire la noia, per occupare le serate. A conti fatti, si riducono all’intrattenimento. A voler essere cattivi, sembrano pensati con la solita logica del panem et circenses. Oppure servono all’inesauribile bisogno di creare “attrazione turistica”, di far girare qualche euro. Niente di male, ovviamente.

Ma in città c’è pure chi, dal di fuori dei cartelloni omologanti, propone qualcosa di diverso. Una manifestazione che prima di essere allestimento, messa in scena, spettacolo, si propone di fare un ragionamento sulla città, sui suoi disagi, sulle sue tare, sulle sue logiche interne. Stiamo parlando del Consorzio “Reate Antiqua Civitas” e della Rievocazione della Canonizzazione di San Domenico di Guzman. Un avvenimento accaduto a Rieti nel 1234 sul quale il Consorzio delle associazioni di quartiere di Rieti sta lavorando ormai da cinque anni.

Ne abbiamo parlato con Fabio Spaccini, presidente di Reate Antiqua Civitas, per approfondire le tematiche legate all’evento che domenica 2 settembre metterà in movimento il centro storico di Rieti.

Fabio, siamo vicini alla quinta edizione.

Sì. E forse si sta consolidando la percezione della manifestazione non tanto come intrattenimento, spettacolo, teatro, ma quale concreta offerta di senso, come lettura della città, come proposta di un metodo e come testimonianza di una possibilità.

Anche quest’anno l’evento è completamente autoprodotto…

È vero. Non vogliamo chiedere a chi spreca e poi tutto giustifica con il buco nero della crisi. Una crisi che è innanzitutto culturale e dalla quale non si esce certo con i finanziamenti a prescindere. Occorre, piuttosto, la capacità di produrre reale valore aggiunto dal punto di vita umano, intellettuale, culturale ed anche economico.

Però servono i mezzi!

Non è che la filosofia escluda l’azione. Troviamo le risorse in città: nella generosità e nel lavoro di tanti. Ognuno ci mette quel che può: chi qualche euro, chi il tempo, chi il proprio talento. Potremmo dire che il testimonial della manifestazione è l’anima pubblica della città. Il primo finanziatore, la partecipazione popolare.

C’è differenza con gli altri eventi che si avvicendano nell’estate reatina…

Certo, rispetto ad altri non siamo così presuntuosi da credere di essere indispensabili allo sviluppo economico. E al contrario di certi eventi che arrivano a Rieti con il biglietto di ritorno già in tasca, non sentiamo il bisogno di legittimarci con la falsa pretesa della promozione territoriale. Ci sta solo a cuore di chiedere a noi stessi e al nostro pubblico di tornare a vivere la città da cittadini, di sentirsi appropriati ai luoghi e padroni della propria storia.

Perché guardare a Domenico di Guzman?

Il momento della sua canonizzazione fu un vertice della vita cittadina. Occorre sempre guardare alle cose migliori. Detto questo, ci sta a cuore l’idea dei Domini Canes. Ci piace pensare di far la guardia ad una certa idea di società. Assomiglia molto a quella medioevale, proprio quella di San Domenico. Sarà stata pure una società difficile, ma vera. La povertà non era un limite o una vergogna, ma una opportunità. Spesso era il reale presupposto per il miglioramento, per la critica di ciò che non andava, per l’azione. Oggi, invece, la povertà che si allarga è solo rassegnazione sociale, irrigidimento, attesa dell’uomo forte e dei suoi presunti poteri salvifici…

Un discorso interessante da portare in piazza…

Beh, noi facciamo la nostra proposta. Forse la nostra piazza assomiglia poco a certe agorà inventate, a certi spazi che si pretende abbiano senso solo perché ripuliti e sistemati. Non è una questione di arredo urbano. La nostra è una piazza ideale che non esclude, né chiede la tessera, ma rimane sempre aperta come luogo in cui l’incontro è opportuno, spontaneo, naturale.

Il tutto suona un po’ strano in una città che si direbbe sconfitta…

Infatti non lo è. L’inedia che si legge nei volti di tanti ragazzi non abita realmente nei loro cuori. Sta tutta nel messaggio criminale e interessato di tanta parte dell’intellighenzia nostrana. È riuscita a parlare da dentro le famiglie, le scuole, la stampa, qualche volta anche dalle chiese, cercando di persuadere ad un senso di inevitabile sconfitta. Anche le istituzioni, deboli e poco interessate a quello che la città sa dare, ci stanno mettendo del loro. Magari perché distratte da una certa “cultura di censo” che tanto trafuga e poco lascia. Per questo è importante continuare a dare voce a un altro modo di stare al mondo.

2 thoughts on “Rieti? Non basta tenerla pulita”

  1. Paolo

    Magari la tenessero pulita Rieti…nemmeno quello !
    Ogni sera il Ponte Romano è pieno di persone ubriache e al di sotto del ponte è pieno di bottiglie di vetro (della birra) e di cartacce. Petrangeli si dia una mossa, invece di far diventare Rieti un covo di gente che, pensando che governa la sinistra, pensa di fare come vuole

  2. Paolo

    Rieti non deve diventare come Perugia dove degrado e sporcizia la fanno da padroni.

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