Rieti, dobbiamo imparare l’arte di diventare vecchi?

Si è tenuto il 9 novembre un incontro formativo promosso dall’Ufficio diocesano per la Pastorale Sanitaria attorno alla figura dell’anziano. Abbiamo ragionato attorno ai temi dell’incontro com il diacono Nazzareno Iacopini, direttore dell’Ufficio.

Nazzareno, perché un incontro formativo centrato sulla figura dell’anziano?

Come sai, la nostra Diocesi ha messo al centro della riflessione la famiglia. Il tema sarà al cuore del cammino della nostra Chiesa locale per l’intero anno. Come Ufficio Diocesano per la Pastorale Sanitaria allora, abbiamo ragionato su quali figure all’interno della famiglia fossero più fragili e bisognose di aiuto. Una indagine che ci ha portato a dare delle precise priorità: l’anziano, la donna, il bambino, il ragazzo.

Bene, ma perché iniziare dall’ultima stagione della vita?

Siamo stati spinti da una condizione oggettiva: le ultime statistiche demografiche raccontano uno straordinario invecchiamento della popolazione. Il dato è costante su tutto il territorio nazionale, ma a Rieti si manifesta in modo più consistente. E questa situazione produce fenomeni e problemi su cui è necessario riflettere e agire.

Quali sono i punti principali?

Beh, ci sono cose molto concrete. Ad esempio, senza girarci troppo intorno, ci sono i problemi di risorse. L’evoluzione dei bisogni delle persone anziane e la crisi finanziaria dello Stato sono in evidente contraddizione. Nel prossimo futuro occorrerà trovare il modo di affrontare la crescita della spesa per gli anziani, garantire la tenuta del sistema pensionistico, evitare il collasso del sistema sanitario e assistenziale.

Sono problemi che si sentono bene anche su scala locale…

Sì, già oggi si sta configurando la riduzione dei servizi assistenziali offerti. È di pochi giorni fa la notizia che verranno ridotti i fondi per Hospice ed assistenza domiciliare. Un ulteriore colpo che si va ad aggiungere alla oramai cronica mancanza di organico del personale del nostro ospedale provinciale. Questa politica di tagli indiscriminati ci spaventa. A pagare per prime sono le fasce più deboli e povere della popolazione. Questo non lo potremo accettare mai.

Che fare?

La risposta deve essere cercata attraverso una nuova politica in ambito socio-sanitario-assistenziale. Oggi tutti si riempiono la bocca di etica e morale, ma poi le scelte vengono fatte sempre e solo con criteri di cassa. Il che si traduce in un fatto: al giorno d’oggi, gli unici diritti acquisiti che vengono garantiti dallo Stato sono quelli di quanti già stanno bene e non avrebbero bisogno d’altro.

I più deboli sono considerati un peso…

Sì. A chiacchiere non lo ammette nessuno, ma la situazione è nei fatti. La nostra è una società in cui sta prevalendo una visione brutale dell’esistenza. Si sta facendo strada l’insana idea che se non produci e non porti ricchezza puoi tranquillamente startene ai margini della società. Chi non lavora non mangia: i nazisti ragionavano in questi termini inaccettabili. La Chiesa non può rassegnarsi a questo scenario.

Si potrebbe dire che il problema è ideologico prima ancora che pratico.

Di sicuro è necessario rovesciare certi punti di vista. L’anziano può essere considerato un costo inutile solo in una una società di stampo follemente consumista. In realtà, la persona anziana, con tutte le proprie fragilità, è una grande risorsa sociale ed anche economica. Il passaggio di percezione “da peso a risorsa”, “da negativo a positivo” si muove in faticosa controtendenza, ma per fortuna è in atto. Il nostro impegno va speso nella rimozione di quanto impedisce un’accelerazione in questo senso. I freni sono finanziari, culturali e morali.

Difficile pensare ad una riforma complessiva della società!

Non è certo ad una rivoluzione che pensiamo. Si può lavorare su piccole cose ed avere grandi risultati. Il linguaggio ad esempio. Certe parole esprimono una violenza che nemmeno percepiamo più. “Risorse umane” ad esempio. È un modo tecnico, asettico, oggettivo di parlare. Ma l’uomo va sempre pensato come soggetto. Come oggetto può essere usato e buttato via in qualsiasi momento. Abituarsi a dire “persone” in tutte quelle situazioni in cui si parla “risorse umane” potrebbe essere un significativo cambio di prospettiva.

I dati dicono che la nostra Provincia ha una delle percentuali di anziani più elevate non solo nella Regione Lazio, ma rispetto all’intero Paese. Perché?

La risposta è banale. Dalle nostre parti i giovani non trovano lavoro e sono costretti ad emigrare altrove. Qui rimangono solo i vecchi. La questione degli anziani si collega a quella dei giovani disoccupati. Il lavoro dovrebbe essere la colla che unisce la collettività. Ma in questo momento stiamo contrapponendo gli anziani ai giovani, invece di amalgamarli.

Nel convegno si parla della fragilità degli anziani più deboli, ma nel Paese c’è anche il problema di una asfissiante gerontocrazia!

Il tema esiste. I giovani cercano giustamente il proprio spazio. Le diffuse recriminazioni che si sentono da ogni parte verso una classe dirigente invecchiata sulle poltrone del potere è comprensibile e spesso condivisibile. Così come fanno rabbia le ricche pensioni collezionate da certi vecchi notabili. Bisogna però essere attenti a non trasformare una rivendicazione di equità in una aggressione alla vecchiaia in quanto tale. Non possiamo lasciare che il bisogno di un rinnovamento finisca con l’isolare le persone anziane, escludendole dalla comunità, dalla famiglia e dalla società tutta.

Ci vorrebbe un intervento correttivo da parte dello Stato?

Magari. La tendenza però è di tutt’altro segno. Basta guardare alla recente legge di stabilità, che speriamo il Parlamento modifichi. Così com’è stata presentata, punisce ancora di più i pensionati più poveri. Segnali più prossimi, come dicevamo prima, sono nella politica della Direzione della Ausl di Rieti. Evidentemente è facile colpire chi è nella fragilità e nella povertà. Ma sarebbe meglio non avere fretta di immolare i vecchi sull’altare del calcolo e del profitto economico. Perdere persone è di gran lunga peggio che perdere soldi.

Quanto pesa in tutto questo il “giovanilismo” che permea la nostra società?

Enormemente. È necessario restituire alla vecchiaia il fascino di un bene prezioso, nello stesso modo in cui la pubblicità ha costruito il mito dell’eterna giovinezza. Accettare il fenomeno dell’invecchiamento sarebbe un passo avanti nella conquista di una percezione integrale della persona. Aiuterebbe a riflettere sul mistero della vita dell’uomo e del suo destino.

Dobbiamo rimparare l’arte di diventare vecchi?

In un cero senso è così. L’invecchiamento è una condizione ineliminabile. Ma il modo in cui invecchiamo dipende da ciascuno di noi e dal contesto che abbiamo attorno. Sarebbe bene che la società tornasse a valorizzare certe dimensioni della vita. Basare le scelte anche sull’esperienza di ha vissuto a lungo, prima che un dovere sociale dovrebbe essere la conseguenza del buon senso. Ma al buon senso abbiamo rinunciato da tempo. Inutile guardarsi indietro: dovremo inventare nuovi modi di stare insieme. Le politiche di mera assistenza sono necessarie, ma è ad un rinnovato coinvolgimento dell’anziano all’interno della società che occorre puntare.