Questione carceraria tra umanesimo e principi cristiani

Ci sono due righe, due piccole righe, nel messaggio alle Camere del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che vale la pena rileggere. Scrivendo del “dovere costituzionale” che lo spinge a intervenire sulla questione carceraria, il capo dello Stato afferma che esso “non può che trarre forza da una drammatica motivazione umana e morale ispirata anche a fondamentali principi cristiani”.

Poche righe che danno la misura della sana laicità a cui s’ispira Napolitano e che parte anche dal vissuto e dal sentimento popolare, facendosene misurato interprete. Parole che non possono alimentare alcun dubbio su una presunta ingerenza clericale o ecclesiale; né tanto meno suscitare, in alcuni spiriti spigolosi, il sospetto di un facile accomodamento del presidente laicissimo a motivazioni e ispirazioni religiose. Ma è un fatto, ed emerge in tutta la sua evidenza, la consapevolezza che l’umanesimo più sincero e genuino incontra e si intreccia – naturaliter – con i principi cristiani.

In un Paese come il nostro, questo legame virtuoso è tanto più visibile nei luoghi della sofferenza e del dolore. E il carcere è certamente uno di questi luoghi, anche a causa delle condizioni disperate di tantissimi carcerati costretti a vivere in condizioni disumane e, talvolta, subumane. Uomini, donne e un esercito di stranieri.

Il presidente fa appello alle coscienze degli onorevoli parlamentari. A loro il compito di scegliere gli strumenti adeguati per raggiungere l’obiettivo di una detenzione giusta e rispettosa della dignità di ciascun carcerato. E a loro anche l’onere di tenere al riparo il presidente della Repubblica da chi vuole trascinarlo, quasi risucchiarlo, nel vortice torbido delle polemiche strumentali. Delle quali il popolo, che non è affatto bue, è davvero stanco.

Oggi parliamo dell’assoluta necessità di restituire efficienza ed efficacia alla macchina della giustizia per rendere anche la pena detentiva un tassello di questo percorso di democrazia fattuale. Augurarsi che questa sia davvero la volta buona per rientrare nella schiera dei Paesi virtuosi, rientra nelle nostre legittime speranze. Di cittadini e di credenti che avvertono l’urgenza di curare le ferite dei propri fratelli e delle proprie sorelle.