Chiesa di Rieti

Quando la scelta non è una scelta

«Tra le esperienze che cambiano la vita in maniera sostanziale c’è indubbiamente la fede»: una riflessione di don Lorenzo Blasetti

Non ci vuole molta fantasia per capire che un’esperienza umana funziona o comunque ha molte più probabilità di funzionare se è innestata su una scelta matura, libera e consapevole. Questo vale soprattutto per le esperienze che incidono in maniera non accidentale ma sostanziale sulla vita di una persona. Penso, ad esempio, alla scelta matrimoniale o magari professionale. Una persona che ha deciso liberamente e consapevolmente di diventare medico sarà certamente migliore rispetto a chi lo è diventato sotto la spinta e il condizionamento dei suoi genitori o solo perché attratto dalla possibilità del guadagno o del prestigio.

Tra le esperienze che cambiano la vita in maniera sostanziale c’è indubbiamente la fede. Ne era convinto Gesù che, proprio per questo, si rivolge a persone adulte e mature per chiamarle ad essere suoi discepoli con espressioni che sono davvero tutto un programma: “Se vuoi… chi vuole venire dietro di me…”. Non sorprende che Gesù non abbia mai detto mezza parola sulla necessità di battezzare i bambini o di iniziarli alla vita cristiana attraverso un itinerario che, se prendiamo sul serio quello che Lui chiede ai suoi discepoli, è un peso insostenibile per un bambino. A proposito dei bambini Gesù qualche dritta ce la propone quando dice di lasciarli “scorrazzare” liberamente attorno a Lui o di prenderli come modelli per capire il senso dell’umiltà o ancora di non scandalizzarli.

Che la fede fosse un’esperienza da persone adulte, mature e libere di scegliere lo avevano capito i primi cristiani la cui impalcatura iniziatica era basata su un assioma che ha fatto scuola ma che, nel tempo, ha trovato i banchi occupati da alunni un po’ distratti: “Cristiani non si nasce ma si diventa”.

E così, purtroppo, generazione dopo generazione, per ragioni storiche che sarebbe interessante analizzare e sulla base di letture teologiche molto “ideologizzate” e poco bibliche, la chiesa ha scaricato sulle spalle dei bambini il peso della traditio fidei, illudendosi che in questo modo avrebbe preso due piccioni (anzi tre) con una fava: il bambino e i suoi genitori. Questo sistema è ancora vigente ma, come è sotto gli occhi di tutti, sta facendo acqua da tutte le parti.

Ogni anno che passa diventa sempre più chiaro che continuare a spendere la maggior parte delle energie per mantenere in vita un sistema che né Gesù né la chiesa apostolica né quella dei padri approverebbero stante il fatto che per loro “cristiani non si nasce ma si diventa” e che, perciò, la fede è una questione personale frutto di una scelta libera, consapevole e adulta.

Diventa allora davvero inutile e, perfino, colpevole continuare a mettere pezze su quella che è ancora l’Iniziazione cristiana senza renderci conto che va profondamente riveduta per adottarne una radicalmente nuova. Nuova non rispetto a quello che Gesù ha detto e fatto ma rispetto ad una prassi che – possiamo ancora far finta di non vederlo? – non è in grado di seminare il futuro.

Una prassi che genera frustrazione in tutti coloro che ne sono coinvolti direttamente e che alla fine della corsa sono costretti a registrare la “dipartita” verso altri mondi della gran parte di coloro che hanno accompagnato verso Gesù e i suoi sacramenti. “Però qualcosa resta”, si dice a loro consolazione. Già, qualcosa ma non sembra la fede matura, adulta e responsabile che Gesù chiede ai suoi discepoli. Ammesso che quel qualcosa non sia una visione distorta dell’esperienza della fede dalla quale molti fuggiranno proprio per il cattivo ricordo dell’esperienza del catechismo.

Buttiamo tutto all’aria? No, se saremo capaci di fare tesoro delle lacune evidenti e sempre più allarmanti che abbiamo davanti e se, impegnando le nostre risorse, cuore e testa, decideremo di arrivare a progettare insieme una proposta che liberi i bambini dal condizionamento del catechismo di cui molti di loro farebbero volentieri a meno. Occorre, finalmente, spostare l’attenzione in maniera più diretta, più esigente e più responsabilizzante verso i loro genitori a partire da una semplice ma fondamentale verità: la fede è un’esperienza che va scelta e, dunque, a nulla serve o diventa perfino dannosa quando la scelta non è una scelta o è fatta per ragioni che poco o nulla hanno che fare con Gesù, il suo vangelo e i suoi sacramenti.