Un Papa… di «Frontiera»

Praticamente al seguito del Papa. Tutto il giorno. Quello di venerdì 4 ottobre, nella storica ed infinita visita ad Assisi nella città del Poverello, nel giorno a lui dedicato. Abbiamo vissuto passo dopo passo le tappe che Papa Francesco ha compiuto in terra d’Umbria in quel crogiuolo di arte e spiritualità, di fede e tradizione, di povertà e semplicità.

Dall’arrivo all’Istituto Serafico per salutare ed abbracciare uno ad uno i bambini disabili fisici e psichici per ricordarci che sono “la carne vivente del Cristo sofferente”. Perché noi siamo tra le piaghe di Gesù e quelle piaghe Gesù le ha volute conservare per portarle in cielo.

Alla sala della Spoliazione di S. Francesco in vescovado dove il Santo Padre, primo Pontefice a visitare il luogo in cui il figlio di Pietro di Bernardone compì il gesto di liberarsi da ogni bene materiale, ancora a braccio e trascurando totalmente il testo scritto, ci ha messo nell’avviso che “la Chiesa siamo tutti noi” e quando ha ricordato che “il vero cancro della società è la mondanità che è un atteggiamento omicida” questo riguarda tutti.

Ognuno di noi. “Senza spoliazione saremmo cristiani da pasticceria”. Già, ci mancava quest’altra chicca. Subito utilizzata con grande ingordigia da tutti i mass media. Ormai dal Papa ci si aspetta sempre quel glossario di espressioni-slogan che toccano la coscienza, che pungolano la riflessione, che scaldano il cuore.

Ecco il punto. Stare, vivere i riflessi del mondo ma senza cedere allo spirito del mondo. Attaccati alla realtà, ma senza esserne permeati. Sembra uno scherzo. Come avvicinarsi a qualcuno, diventarne amico, ma rimanerne a distanza. Pare uno scherzo.

Vagliate e trattenete. Se vogliamo essere cristiani fino in fondo non possiamo tacere davanti ad uno scenario umano che si allontana da quella che è stata da sempre la via di Francesco. E lo ha spiegato in modo mirabile, strappando il primo fortissimo applauso durante l’omelia nella piazza inferiore di S. Francesco a ridosso della Basilica, quando ha ricordato la tragedia di Lampedusa ed ha implorato la pace in ogni angolo della terra, a cominciare dalla Siria.

“La pace francescana – ha detto – non è un sentimento sdolcinato. Per favore: questo S. Francesco non esiste! E neppure è una specie di armonia panteistica con le energie del cosmo. Questo non è francescanesimo. E’ un’idea che qualcuno ha costruito”.

Ma allora qual è la vera pace? Non è il “volemose bene” edulcorato al massimo che talvolta camuffiamo all’interno dei nostri condomini, al lavoro, negli affetti, in politica. “La pace è quella di Cristo e la trova chi prende in sé il suo giogo, il suo comandamento: Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato”.

E niente arroganza o prosopopea nel farlo, solo mitezza ed umiltà di cuore. Proprio come Francesco. Il Santo ed il Papa. E a S. Rufino il consiglio forte a diventare attenti al Vangelo, “più ascoltatori, per essere meno ricchi di nostre parole e più ricchi delle Sue parole”.

E chiudere con i giovani che hanno invaso fino all’inverosimile la piazza di S. Maria degli Angeli nell’abbraccio finale. Paterno, amorevole, ma anche autorevole, ficcante. Siamo nella cultura del provvisorio, ci lasciamo dondolare ed ammaliare da questa visione della vita, ma “Gesù – ha ribadito Papa Francesco – non ci ha salvato provvisoriamente, ma per sempre”.

Allora non c’è da aver paura nel compiere passi definitivi, andar dietro alla propria vocazione, sia essa il matrimonio, o la verginità, “perché il Signore non ci lascia mai soli”.

Ed è questa l’ultima stagliante, nitida immagine che conserviamo in una piazza all’improvviso vuota, verso le 20, con la Papamobile già al campo sportivo di Rivotorto per la partenza in elicottero verso Roma e la notte già calata, con le transenne un po’ rimosse ed un fiume impetuoso di carte per terra. Ed un viaggio di ritorno da affrontare per raggiungere le nostre case.

Non siamo soli. Neppure qui.