Mons. Pompili: «peccato è non ascoltare. Confessare è una conquista»

«Il peccato, per definizione, è non ascoltare! Sottrarsi con ostinazione alla voce di Dio che ci parla attraverso le persone e gli eventi che ci manda». Lo ha spiegato il 2 ottobre il vescovo Domenico a Fonte Colombo, durante un momento di preghiera celebrato in vista delle festa di san Francesco.

A dare lo spunto il profeta Baruc, che per tre volte ribadisce: «non abbiamo ascoltato la voce del Signore». Sono parole che «hanno una dolorosa conferma nella tragica distruzione di Gerusalemme e nell’esilio che disperde il popolo. A ben guardare – ha aggiunto mons. Pompili – quando siamo sordi alla voce di Dio si arriva allo stesso esito. Ogni giorno constatiamo la continua distruzione della città degli uomini (guerre, fame e immigrazione, violenza, malessere) e una sorta di polverizzazione dei legami. Ma di chi è la colpa? Siamo soliti attribuirla, di volta in volta, alla crisi economica, a quella politica, a quella sociale. Ma è proprio così?»

Una risposta la può offrire l’esperienza di San Francesco, «che va in ben altra direzione. Eppure vive in un periodo storico segnato da gravi diseguaglianze sociali ed economiche e in una condizione ecclesiale decisamente scadente». Eppure «il poverello di Assisi non si scaglia contro il sistema. Si ritira proprio qui a Fontecolombo, ospite dei monaci di Farfa, e nella minuscola cappella dedicata a Santa Maria e detta della Maddalena, si immerge in Dio. Qui impara ad osservare la natura e si lascia incantare dal Monte Rainiero, da lui ribattezzato Fons colombarum perché nella fonte sottostante il suo sguardo è attirato dalle colombe che si abbeverano. Francesco è lui stesso una colomba e mostra di non avercela con gli altri. Si sente pacificato e per questo vede tutto con occhi nuovi e trasfiguranti. Una grotta diventa il grembo dal quale rinasce. Si tratta di una piccola fenditura che a malapena lascia entrare una persona. Là Francesco si ferma e si lascia andare ad un tempo di preghiera e di penitenza che prelude alla messa per iscritto di quella Regola che segnerà definitivamente la vita dei suoi fraticelli».

«Comprendiamo allora la semplicità e l’immediatezza con cui le Fonti documentano il suo invito a ‘confessare tutti i peccati’. Confessare non è una resa, ma una conquista. Solo quando riusciamo a sbloccare in noi il meccanismo dell’autodifesa e ad aprirci sinceramente all’abbraccio di Dio riusciamo a trovare la pace che invano scansiamo in nome della polemica e della rivendicazione» ha sottolineato don Domenico ricordando che «Qui a Fontecolombo San Francesco ha riabbracciato la pace e si è riconciliato con Dio, con gli altri e con il mondo della natura. Lasciamoci attrarre da questa sua scelta esigente e liberante. E chiediamo di riuscire a fare la nostra confessio che non è solo andarsi a confessare, ma significa anche lodare, riconoscere, proclamare».

La confessione di lode è la prima cosa. «Abbiamo tante possibilità di cui non siamo consapevoli. Dobbiamo individuare una o due cose per le quali ringraziare».

La confessione della vita «è individuare i nodi irrisolti, quei profondi sentimenti o emozioni che ci pesano e che non vorremmo ci fossero. Lì si annidano le radici dei nostri peccati. Risentimenti, amarezze, tensioni che attendono di essere sciolte dal Signore».

La confessione della fede «è l’esito di questo colloquio penitenziale, in cui ci si arrende al Signore Gesù che “mai si stanca di perdonare, ma noi, a volte, ci stanchiamo di chiedere perdono” (papa Francesco)».

In conclusione il vescovo di Rieti ha invitato a fare nostre «le parole di San Francesco per essere immersi dentro la sua esperienza che proprio qui conobbe uno dei suoi vertici: “Altissimo glorioso Dio illumina le tenebre de lo core mio. Et dame fede dricta speranza certa e carità perfecta, senno e cognoscemento. Signore, che faccia lo tuo santo e verace Comandamento”».