Il Sindaco di Rieti Simone Petrangeli sembra avere intrapreso un tour nelle realtà produttive della città. Dopo la visita agli impianti di Fonte Cottorella, pare abbia l’intenzione di esplorare il mondo del nucleo industriale di Rieti-Cittaducale. Per il 16 ottobre, ad esempio, ha annunciato una visita allo stabilimento Inalca. Il sito, specializzato nella lavorazione industriale delle carni, è una delle poche realtà locali che resistono con forza alla crisi. Una storia che abbiamo affrontato con Antonio Polidori, della Flai Cgil.
«In quella realtà, che seguo insieme ai colleghi di Cisl e Uil – ci spiega – è maturata una esperienza interessante. È il risultato di una stretta collaborazione tra il sindacato e l’azienda. Ma è anche un successo ottenuto a dispetto di alcuni “vizi” profondi della città. Con coraggio, lavoro e pazienza, siamo riusciti a mantenere aperta una fabbrica che due anni fa stava chiudendo, e a tenere testa a interessi sedimentati e posizioni di comodo. Oggi la fabbrica ha ripreso a lavorare. E non solo ha riportato i livelli occupazionali al livello precedente la crisi, ma ha anche concluso più di trenta nuove assunzioni».
Con quali contratti?
Sono tutti posti di lavoro inquadrati con contratto nazionale, per la quasi totalità dei dipendenti quello della industria alimentare, e con la contrattazione integrativa cosiddetta di secondo livello, quello aziendale. Da questo punto di vista andrebbe riconosciuto un qualche merito all’azione sindacale. Grazie ad accordi seri con l’azienda, siamo riusciti a contrastare una deriva che vedeva lavoratori presi non si sa come e non si sa dove. Tutta gente appesa a salari vergognosamente bassi. Tante persone tenute costantemente sotto ricatto dalle cooperative che si erano introdotte nella fabbrica.
Una scelta che suona quasi reazionaria! Stabilità del lavoro, assunzioni a tempo indeterminato e contratti nazionali non sono inutili residui del passato?
Certo che no. È il diritto del lavoro che fa funzionare la macchina economica. La precarietà produce solo miseria, non fa funzionare nulla. Quello che dà forza è l’assunzione delle responsabilità da parte di tutti: dei lavoratori, dell’impresa e del sindacato. All’Inalca questa cosa l’abbiamo sperimentata ed i risultati fino ad oggi sono positivi e ben visibili.
Prima però accennavi ad una certa resistenza…
Infatti. Lo sforzo più grande l’abbiamo fatto per rimuovere uno spesso strato di interessi. Grazie alle esternalizzazioni di diversi aspetti della vita di fabbrica, alcune pseudo-cooperative si erano stabilite all’interno dell’Inalca. In poco tempo avevano conquistato la capacità di fare il buono e il cattivo tempo. In certi casi pagavano i lavoratori con 500€ in busta paga e il resto al nero. Più di una volta abbiamo riscontrato situazioni portate avanti nella più totale illegalità. Una condizione sanata grazie all’azione sindacale e alla presa di coscienza dell’Azienda.
La deriva nell’illegalità dipendeva anche dalla prospettiva di chiusura dello stabilimento?
Mah, la situazione ad un certo punto era molto complicata. All’epoca si facevano due o tre mesi di cassa integrazione l’anno. Un andazzo che in sostanza permetteva una certa flessibilità a spese della collettività. Con questa strategia si è tirato avanti per un lungo periodo. Finché, all’incirca tre anni fa, la situazione cominciò ad essere evidentemente insostenibile. All’epoca del mio arrivo in Inalca, c’era un centinaio di dipendenti diretti che campicchiavano in questa situazione. E ce n’erano quasi altrettanti che, dipendenti di alcune finte cooperative, erano sottopagati ed a volte pagati con i “dividendi” della gestione. Tutta gente che non poteva protestare perché veniva immediatamente allontanata.
C’erano contrasti tra i due gruppi?
Più che altro si era verificata una perversa alchimia. C’era un sostanziale consenso dietro a questa corruzione dei rapporti di lavoro. In tanti avevano paura che per colpa del sindacato andasse perso pure quell’impiego squalificato, ma che permetteva di stare a galla. Grazie ai morsi della crisi, le “cooperative” si trovavano ad essere il terminale di un solido mercato della raccomandazione. Anche l’offerta di un pessimo lavoro crea vincoli, debiti e posizioni di forza. È uno dei difetti della mentalità reatina. Abbiamo compiuto ogni sforzo per riuscire a smantellare, perlomeno dentro Inalca, questo giro di miseria della clientela. Compresa una faticosa attività di persuasione dei dipendenti diretti Inalca. La loro resistenza derivava da una sorta di paradossale condizione privilegiata. In tanti casi riuscivano a scaricare sulle spalle dei lavoratori più deboli impegni, oneri e responsabilità.
Una situazione complicata…
Sì, per certi versi il sindacato era sentito come un corpo estraneo. La battaglia per riportare in equilibrio i diritti di tutti ha provocato un certo malcontento e diverse defezioni. Ricostruire il clima giusto non è stato facile. Anche perché c’era un sentimento di profonda disaffezione verso la fabbrica. Ma è un grumo di problemi rintracciabile in molte altre situazioni. Nelle cosiddette esternalizazioni della pubblica amministrazione, ad esempio, questo si coglie in modo piuttosto evidente, ed in quel caso, quando questo processo coinvolge professionalità e non solo manovalanza, il danno é, se possibile, ancora maggiore.
In questi giorni si sta svolgendo Rieti Innova. Si direbbe che la retorica di fondo dell’iniziativa ricada in gran parte sui temi dello sviluppo tecnologico, del fare rete e della competitività. Un repertorio di concetti senz’altro validi, ma che stanno a poco a poco scivolando verso il luogo comune e senza aver ancora maturato frutti significativi. Non sarà che la prima innovazione da portare nell’industria e nel lavoro più in generale, dovrebbe essere il ritorno ad un sistema di valorizzazione, e non di svalutazione, del lavoro?
Il tema esiste, e andrebbe affrontato seriamente. Il lavoro “buono”, quello che sta dentro al sistema delle tutele e dei diritti, è un fattore di coesione sociale senza il quale non arriva alcun tipo di sviluppo. Il lavoro precarizzato, deprezzato, depauperato, è la strada per tutte le miserie. Questo è il punto nodale. Se ci fosse un mercato della coesione sociale, Rieti dovrebbe far parte della clientela affezionata. Nella nostra città ognuno pensa di poter fare da sé. Non ci si rende conto che proprio questo genera la povertà sociale ed economica. Per sopravvivere, dovremo ricominciare dal senso di comunità. Stiamo morendo per inseguire una competitività che ormai è fine a se stessa. Un “tutti contro tutti” che sta portando allo scenario desolante dei nostri giorni.
Dalla crisi si esce tutti insieme…
Sì, la scommessa che abbiamo vinto con Inalca è stata quella di riuscire calare questo ragionamento in fabbrica. Abbiamo scelto con forza di rappresentare tutti i lavoratori, non solo quelli di serie A. E ad un certo punto si è capito che la disuguaglianza e lo sfruttamento minano i diritti di tutti, compresi quelli dell’azienda. E quello articolato all’Inalca può essere un modo di ragionare attorno ad altre situazioni di crisi. Il problema è renderlo un metodo condiviso dalla società reatina. La visita del sindaco da questo punto di vista può essere un’opportunità. Anche perché di strategie alternative per tenere vive le fabbriche, al momento, ne vedo ben poche.