La realtà in punta di pennello

Silvestro Lega: pittore raffinato e dotato di una profonda sensibilità umana

La poesia del quotidiano, la realtà raccontata in punta di pennello con un tocco semplice, fluido e candido, l’essenza della vita resa nell’elogio della banalità, questa è la grandezza di Silvestro Lega. Pittore raffinato e dotato di una profonda sensibilità umana, fu tra i principali esponenti della corrente artistica dei Macchiaioli, e visse con piena partecipazione le vicende di quell’Italia di metà Ottocento, tra fermento rivoluzionario e ricerca di una identità nazionale. I temi affrontati e i personaggi rappresentati nei suoi quadri non sono gli epici eroi di un mondo passato, né le bucoliche virgiliane dell’Arcadia, e nemmeno re e condottieri in lotta contro gli stranieri oppressori. La sua pittura si condensa in scene di vita quotidiana, quella della piccola borghesia di un paese di provincia nella Toscana dei Lorena. Al posto dei castelli medievali e delle rovine romantiche, nei suoi paesaggi compaiono casette rurali, tetti colorati arsi da un sole caldo estivo, piccole ed accoglienti abitazioni fatte di tufo e pietra locale, pergolati intrecciati dalla vite. Era il mondo della campagna di Piagentina e di Castiglioncello, un mondo semplice, verace e reale, commovente per la sua spontaneità; un mondo dove i sentimenti erano quelli veri, quelli comuni, quelli che si ritrovano in un cordiale e consueto saluto mattutino, oppure in una visita di cortesia, o nel lavoro duro e prolungato nei campi da arare.

In questi giorni è possibile ammirare le opere dell’artista nella mostra “Lega. Storia di un’anima. Scoperte e rivelazioni”, in corso a Viareggio presso il Centro Matteucci per l’Arte Moderna. L’evento segue cronologicamente l’esposizione di Modigliana, paese natale dell’artista, “Silvestro Lega. L’origine e la nostalgia”. A Viareggio è possibile apprezzare alcune opere inedite e molti dei suoi dipinti più famosi come “Visita alla balia” del 1873 (Firenze, Galleria di Arte Moderna di Palazzo Pitti), dove è appunto rappresentata la visita che un’elegante signora di città fa alla balia del proprio figlioletto, che è vestito per l’occasione di un elegante grembiulino azzurro

La donna indossa un abito scuro che si staglia come una macchia contro il chiarore del muro dell’umile dimora della balia, l’adesione al vero non si registra solo nella descrizione puntuale delle persone e dei luoghi, ma anche in quel sentimento di commossa partecipazione per una sofferenza nascosta, quella del distacco così innaturale tra il figlio e la madre: è la poetica degli affetti interrotti. Il dialogo fecondo e continuo tra madre e figlia compare invece in una dimensione più intima e pacata nel dipinto l’“Educazione al lavoro” del 1863 (collezione privata), dove viene rappresentato un momento di vita domestica: una giovane donna dipana una matassa di lana con l’aiuto di una piccola bambina che osserva silenziosa e compunta. L’ambiente è umile ed è caratterizzato solo da una grande finestra aperta da cui entra una nitida luce mattutina e da un tavolino di legno dove sono adagiati un calamaio, dei libri, il cuscinetto da lavoro e la panierina; sono proprio questi oggetti che parlano dell’educazione che la madre tramanda a sua figlia: un’educazione semplice e tutta femminile. Cosa c’è di eroico o elegiaco in tutto questo? Forse niente o forse troppo per essere raccontato con la poesia di un “dolce paese, onde portai conforme l’abito fiero e lo sdegnoso canto e il petto ov’odio e amor mai non s’addorme” (G. Carducci, “Traversando la maremma toscana”).