La domenica del Papa: in preghiera per Lampedusa

“Lasciamo piangere il nostro cuore”

Due immagini e un verbo. Lampedusa e Assisi; la prima, la tragedia che si è consumata a poca distanza dalle coste dell’isola più meridionale dell’Italia, quella lunga teoria di corpi la cui vita è stata recisa mentre sognavano un destino diverso, un futuro migliore per loro e per la famiglia. Francesco parla di vergogna e chiede, all’Angelus, una preghiera silenziosa: “Lasciamo piangere il nostro cuore”.

Assisi è la tappa per definizione: Francesco che incontra Francesco. Visita fatta di parole e di gesti forti, dall’abbraccio ai bambini disabili, ai malati; alla vicinanza con i poveri assistiti dalla Caritas, in uno dei luoghi simbolo del Santo, la sala della spoliazione: Francesco che si fa povero per i poveri. Ad Assisi non ci si va, ci sei già stato, sei a casa. Essere per i vicoli antichi è come respirare un’aria nuova, pulita.

E camminare è proprio il verbo che accompagna questi appuntamenti e che ci fa leggere le parole della liturgia domenicale. C’è una domanda che gli apostoli rivolgono al Signore: accresci la nostra fede. La risposta può lasciarci senza parole, difficile da capire: “Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso sradicati e vai a piantarti nel mare”.

Che la nostra fede è piccola, debole e fragile, lo sappiamo bene. Piccolo è anche il seme di senape, il più piccolo in natura. Il gelso, invece, è una pianta resistente con radici ben piantate nel terreno. Allora, come si fa a pensare di sradicarlo e, soprattutto, piantarlo in mare? Ecco il camminare: la fede intesa proprio come un cammino che non si arresta di fronte agli ostacoli, che sa sperare contro ogni speranza, per ricordare le parole di Paolo. La fede incrollabile di Abramo, che non si arrende alle circostanze avverse tali da far credere all’impossibilità di sperare. Parole che lo stesso Giorgio La Pira, il sindaco di Firenze, dei colloqui del Mediterraneo, utilizzerà quasi come motto per le sue iniziative: non solo i dialoghi di pace con i paesi del Nord Africa e del Medio Oriente, ma anche l’Est europeo e l’Unione Sovietica. Quando andrà a Mosca a parlare al Soviet supremo dirà: in questo momento centinaia di suore di clausura stanno pregando per questa visita e per voi. Chissà cosa avranno pensato quei delegati comunisti?

Ma torniamo a Francesco e all’Angelus, torniamo al seme di senape e al gelso. Come dire, basta avere una fede piccola come appunto il seme di senape, per poter fare cose impossibili, impensabili. Anche perché non siamo noi a farle, o meglio siamo solo strumenti; servi inutili, appunto. “Tutti noi conosciamo persone semplici, umili, ma con una fede fortissima, che davvero spostano le montagne”. Il Papa porta l’esempio di madri e padri “che affrontano situazioni molto pesanti”; o malati, anche gravissimi, “che trasmettono serenità a chi li va a trovare”. Sono persone che, proprio per la loro fede, non si vantano di ciò che fanno, anzi, “come chiede Gesù nel Vangelo, dicono: siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”.

Ed ecco appunto il camminare. La fede è un dono che va alimentato. C’è poi la richiesta di togliere dalla terra le radici del gelso e di trapiantarle nel mare. La terra è la nostra sicurezza, avere le radici ben piantate significa resistere alle difficoltà; forse anche resistere ai cambiamenti. Ecco il mare, instabile, difficile da cogliere come base per mettere le radici. Cosa significa? È essenzialmente un affidarsi al Signore che sa scrivere dritto sulle righe storte della nostra storia. Affidarsi significa anche capire che con lui possiamo mettere le radici nel mare, perché nulla ci farà cadere, deviare dal cammino scritto per noi. La fede, dunque, come cammino che sa cogliere la novità dell’incontro e lo fa crescere passo dopo passo, giorno dopo giorno.

Certo a volte siamo chiamati a fare delle scelte che ci sembrano difficili se non addirittura impossibili. Perché le leggiamo con i nostri occhi, attenti alle radici piantate nella terra. Il gelso da far crescere nel mare è altro, rientra in quel sperare contro ogni speranza che è l’obiettivo cui tendere. Camminando.