La dignità nel vivere e nel morire / 4

Dopo quello che abbiamo scritto la settimana scorsa, non possiamo che porci una domanda. Come si configura la sintesi fra una condizione obiettiva di vita degna ed una condizione soggettiva di intima soddisfazione per la qualità della propria esistenza?

Quando i bisogni e le nostre esigenze naturali che ci appartengono sono ragionevolmente soddisfatte. Faccio un esempio, per spiegarmi meglio.

È esigenza naturale di ogni persona vivere in società: una vita asociale è indegna dell’uomo. Tuttavia esistono modi e forme diverse del vivere sociale. Vivere in una società emarginati non è una vita degna dell’uomo. La ragione umana è chiamata quindi a scoprire, interpretando con verità la natura sociale dell’uomo, la forma buona – degna della persona – della vita associata.

Chiamiamo le risposte ragionevoli alle esigenze naturali dell’uomo beni umani operabili (operabili perché devono essere realizzati dall’agire umano secondo la retta ragione), cioè beni morali.

Siamo giunti dunque al seguente risultato con la nostra riflessione: è una vita umana degna quella della persona che vive in possesso dei beni morali, dei beni umani operabili. In due parole: vita umana degna è uguale a vita moralmente buona.

 

Prima di procedere, per non fare confusione, vorrei fare due osservazioni.

La prima. Esistono beni morali che possono essere realizzati non semplicemente operando, ma solo co-operando. Sono i beni che si compiono mediante la virtù della giustizia.

La seconda. I beni morali operabili non si collocano tutti sullo stesso piano, ma esiste fra essi una gerarchia: il martire rinuncia alla vita, che è un bene, pur di non spezzare la sua alleanza con Cristo, che è il bene più grande.

Entro ora, più specificatamente, nel nostro tema. Non c’è dubbio che la salute sia un bene umano, un bene morale. Una vita sana è più degna dell’uomo che una vita malata. Da questa basilare intuizione è nata la medicina come scienza ed arte tesa a conservare o restituire alla persona e nella persona il bene della salute. Faccio due riflessioni al riguardo e concludo questa seconda parte.

La prima. La salute diventa sempre di più un bene co-operabile. Cioè: il bene della salute oggi non si opera solo nel rapporto medico-paziente, ma esso è il frutto anche di un’organizzazione pubblica.

Questo fatto, indubbiamente positivo, non deve farci dimenticare una verità assai importante. La salute appartiene a quei beni umani che rispondono a bisogni umani che sono “solvibili”: che cioè non possono essere trattati solo colla logica del mercato.

La salute è un bene che è dovuto all’uomo perché uomo, in forza della sua eminente dignità a immagine e somiglianza di Dio.

La seconda. La salute non è un bene sommo. La riflessione etica cristiana ha da sempre formulato il principio seguente, a voi lettori ben noto: la persona ha il dovere/diritto di fare uso di mezzi terapeutici proporzionati/ordinari, non sproporzionati/straordinari.

Alla base di questo principio sta precisamente l’intuizione che la salute non è il bene sommo, e che essa può anche essere sacrificata per i beni ad essa superiori. E con questo siamo già entrati nella terza ed ultima parte della nostra riflessione.