Castel di Tora

Il vescovo a Castel di Tora per la festa di sant’Anatolia: «Amare significa accettare l’imprevisto»

Tre riflessioni in due giornate di festa, offerte dal vescovo Domenico alla comunità di Castel di Tora, in occasione dei festeggiamenti che il paese ha dedicato alla sua patrona sant’Anatolia

Tre le riflessioni offerte dal vescovo Domenico alla comunità di Castel di Tora nelle due giornate vissute in occasione dei festeggiamenti che il paese ha dedicato alla sua patrona sant’Anatolia.

Monsignor Pompili ha raggiunto in due giorni successivi il bellissimo borgo sul lago del Turano. Prima trasferta sabato pomeriggio per la Messa e la successiva processione. Oltre ai fedeli del luogo, alla liturgia ha partecipato anche un gruppetto dell’Azione Cattolica. Quest’anno l’associazione ha infatti scelto di festeggiare il proprio “compleanno” accogliendo l’invito di don Roberto. Il 13 luglio ricorre infatti l’anniversario della fondazione del primo nucleo di Ac in diocesi e il sacerdote castelvecchiese, assistente diocesano per l’Acr, ha invitato tutti a partecipare alla festa dedicata alla martire. Al santuario dedicato a sant’Anatolia e all’attigua “Villa”, del resto, è legata la storia dell’Ac reatina. Per anni quei luoghi grazie all’indimenticato don Luigi Bardotti, sono stati la casa diocesana dei campiscuola, alla quale in tanti sono legati per la propria formazione spirituale.

Il coraggio di andare oltre la comodità

Domenica mattina, la parrocchiale di San Giovanni Evangelista ha di nuovo accolto il vescovo per la celebrazione eucaristica festiva, animata dall’Ac e concelebrata col parroco di Colle e Castel di Tora don Josafat, l’assistente unitario di Ac don Zdenek e padre Francesco venuto da Nespolo. Le parole della Scrittura sul martirio, nella Messa in onore di sant’Anatolia sabato pomeriggio, hanno offerto lo spunto a don Domenico per invitare a riflettere sul senso dell’essere chiamati, oggi, a “dare la vita”. Certamente anche oggi, come ai tempi delle persecuzioni in cui visse Anatolia, i cristiani possono essere «esposti alla morte violenta: ai nostri giorni in Africa, in Asia, in America Latina può accadere che per il Vangelo si venga uccisi».

Ma nell’ordinario delle situazioni libere e tranquille il “martirio”, ha detto il vescovo, è da intendere in altro senso: «Per stare dietro a Gesù occorre far indietreggiare le pretese del nostro io. Anatolia è stata una donna che non ha scelto di morire, ma è stata una che ha scelto un modo di vivere che l’ha esposta alla violenza degli altri, perché il martire non è uno che cerca la violenza, tanto meno uno che esercita la violenza contro gli altri, come nel caso dei kamikaze. Il martire è uno che ha scelto un modo di vivere speciale, che è quello di Gesù. E quando si vive in modo giusto in un mondo che è ingiusto state tranquilli che presto o tardi non la si fa franca. In un mondo ingiusto, il giusto è destinato a essere violentato».

Questa «donna coraggiosa» ha ben incarnato le parole di Gesù nel Vangelo “Chi vuol salvare la propria vita, chi invece perderà la vita per causa mia la troverà”. Gesù, ha spiegato Pompili, «vuol farci comprendere che la vita è un rischio e dobbiamo deciderci come spenderla. Davanti a noi ci sono sempre due alternative: c’è chi sceglie la libertà di vivere secondo la propria fede e perciò si espone al rischio di essere ucciso, e c’è chi baratta la libertà con la comodità, o se volete con la tranquillità». Questa è l’alternativa cui si è chiamati oggi: «dobbiamo deciderci come vivere la nostra esistenza, se viverla nella libertà o nella comodità», perché tutti in genere «siamo tentati di seguire più la strada della comodità».

È quella mentalità che monsignore ha voluto un po’ scherzosamente chiamare «la mentalità dei “quattro salti in padella”», partendo da quei ritrovati culinari che fanno sì risparmiare tempo rendendo tutto «più comodo, più facile: ma gli effetti sono stati che abbiamo perso in salute, in qualità della vita». Facile e comodo non significa vero e libero. «La fede è oggi un presidio alla nostra libertà, perché soltanto chi crede ha la capacità di sottrarsi a questa pretesa di oggi, che spesso porta a vivere inseguendo soltanto ciò che è comodo e non ciò che ci rende veramente liberi».

Anatolia: la strada della libertà

Concetti che don Domenico ha poi ripreso al momento di preghiera al termine della processione, snodatasi dopo la Messa dalla chiesa del paese fino al santuario di Sant’Anatolia. Il canto del vespro ha concluso il pellegrinaggio che, costeggiando il lago, ha accompagnato l’effigie della santa nella chiesa del complesso purtroppo da alcuni anni perduto dalla diocesi (anche se la chiesa, grazie al provvedimento della Congregazione delle Chiese orientali che ha la proprietà dell’immobile, dallo scorso anno è assegnata alla parrocchia del luogo per aprirla al culto nel periodo estivo).

Le parole di san Paolo “Chi ci separerà dall’amore di Cristo?” risuonate nella lettura breve hanno dato modo a monsignor Pompili di tornare a ribadire l’alternativa tra una vita comoda e una vita libera: «È la comodità che ci separa dall’amore di Cristo». Il che non significa che la comodità è di per sé un male, ma, ha precisato il vescovo, «diventa un pericolo quando finisce per essere l’unico criterio in base alla quale noi decidiamo. Senza accorgercene facciamo solo le cose che sono comode, che producono un immediato tornaconto. Questo ci allontana da Dio, ci allontana dalla vita». E ha fatto riferimento a una subdola schiavitù che è quella della rete, che pure sarebbe un mezzo per renderci tutti più liberi…

«Col perfezionamento tecnologico, alla fine viviamo per servirci delle varie app: non siamo più noi che cerchiamo ma siamo noi che veniamo cercati. Siamo diventati noi il bersaglio da catturare e abbiamo perso la nostra libertà, siamo diventati dei potenziali clienti». E dunque «la comodità ci può far perdere la libertà e ci riduce a essere oggetti di consumo».

Ecco ancora l’esempio dei martiri come sant’Anatolia, che «non ha scelto la strada della comodità, cioè la strada del conformismo, della serie “fanno tutti così”, ma una strada diversa, quella della libertà». Di qui l’invito a interrogarci «su quale siano i criteri che ispirano le nostre scelte, se la libertà, che ha un prezzo, che costa, che ci fa rischiare, o semplicemente la comodità, che sembra ci soddisfi, ma alla fine ci toglie il respiro». Dato che, come dice Gesù, “a che serve guadagnare il mondo intero se uno perde se stesso?”.

Amare significa accettare l’imprevisto

Un’ultima riflessione dal vescovo Domenico nella celebrazione eucaristica festiva. Domenica mattina, percorso inverso per i fedeli castelvecchiesi, che dal santuario di Sant’Anatolia, secondo tradizione, hanno riportato la statua della patrona alla chiesa parrocchiale. Qui è giunto di nuovo monsignor Pompili per la Messa festiva, invitando allo stile del buon samaritano, protagonista della parabola che il Vangelo domenicale proponeva.

Quella capacità di chinarsi sullo sconosciuto bisognoso di aiuto, ha detto il presule, diventa un invito a lasciare sconvolgere le nostre esistenze dagli imprevisti. «Un autore francese ha riformulato così il comandamento dell’amore: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore e amerai l’imprevisto come te stesso”». Nel racconto parabolico che Gesù propone per lanciare il messaggio dell’amore i due personaggi negativi, il sacerdote e il levita che passano oltre, rappresentano, ha sottolineato Pompili, coloro che si sentono disturbati da ciò che non era previsto: «Il dover aiutare gli altri, il dover prenderci carico delle sofferenze dei fratelli sono un imprevisto che ci viene a disturbare», ha detto don Domenico, prendendo in prestito il cinema della commedia all’italiana: non si è fatto problemi, il vescovo, a far riferimento, nell’omelia, a un celebre personaggio di uno dei film “storici” di Carlo Verdone, il “maniaco della programmazione” Furio. «Oggi siamo tutti un po’ “furiosi”: tendiamo a voler programmare precisamente tutto, e se qualcosa viene a frapporsi nei nostri programmi andiamo subito in crisi».

Ma proprio la necessità di dover guardare ai problemi che il mondo ci pone davanti ci interpella, come cristiani e come società, a non restare indifferenti. «Anche una questione delicata come il problema dell’immigrazione dovrebbe essere affrontata con questa sapiente capacità di andare incontro alle esigenze dell’altro», rifuggendo una vita tranquilla fondata solo sull’egoistico “farsi gli affari propri”.