Cultura

Il segreto di Dante emerge solo leggendo fra le righe

I profondi significati simbolici che oggi talvolta sfuggono alla lettura furono indagati da Gabriele Rossetti, padre del più celebre pittore

Beatrice è il fulcro della poesia come della vita di Dante, perché vita e arte si alimentano nel Poeta, non per estetismo, ma per relazione costitutiva. E senza Beatrice non solo non si darebbe la Vita Nuova, ma neppure la Commedia stessa. Interrogarsi su Beatrice, sull’amore umano e divino in lei cantato, sulla sua simbologia così terrestre e trascendente insieme ci sembra sempre più necessario, specie in un tempo così esangue e di ‘passioni tristi’. Certo incontrare Beatrice significa anche esperirne il mistero, il più fitto e semplice dell’opera dantesca. Mistero, perché Beatrice resta irriducibile a qualunque interpretazione totalizzante; mistero perché Beatrice è ‘l’altro’, l’altro in quanto donna, e in quanto visitazione di una dimensione insondabile, che inabita tutta la realtà, ma che per lo più non vediamo. In questo senso rincontrare La Beatrice di Dantedi Gabriele Rossetti, rieditata per i tipi de La Vita Felice, è prezioso, perché, anche non si condividessero tutte le riflessione rossettiane, pure se ne esce arricchiti, e si continua ad approfondire il mistero beatriciano. Gabriele Rossetti è stato un poeta, un critico e patriota italiano, nato a Vasto nel 1783 e morto esule a Londra nel 1854. Padre del più famoso Dante Gabriele Rossetti, pittore, è soprattutto noto per la sua attività di dantista, spesso non compresa dalla ‘critica ufficiale’. I primi studi danteschi del vastese sono databili all’esilio a Malta nel ’21, dopo i moti del 1820. Rossetti trovava analogie fra le proprie vicende biografiche e quelle del Poeta.

Le incursioni dantesche si concretarono nel Commento analitico all’Inferno, pensato per l’intero poema e mai terminato. Importanti anche i cinque volumi del Mistero dell’Amor platonico del Medioevo, di grande dottrina. E infine appunto La Beatrice di Dante, del 1842, che doveva essere l’opera più esaustiva sul Poeta, dopo vent’anni di studi e ricerche. Rossetti pubblicò solo il primo dei ‘tre ragionamenti’, e il resto, ampliato a nove ragionamenti, uscì postumo. Nella Conclusione del libro così Rossetti sintetizza le tre tesi fondanti del suo lungo lavoro: 1) Beatrice è una figura allegorica fin dalla Vita Nuova. Essa corrisponde alla donna cantata nel Convivio. Rappresenta dunque la Filosofia, anche nella Commedia, dove è però prudenzialmente celata sotto le vesti della Teologia. 2) Le opere dantesche, come quelle di altri contemporanei, parlano un linguaggio cifrato, simbolico: sotto la valenza erotica è nascosta una scienza occulta, iniziatica, ben più antica. Per evitare le persecuzioni di Roma, il linguaggio fu via via sempre più trasformato da erotico a dogmatico. 3) La Commedia sarebbe l’esempio più straordinario di questa operazione: e sotto il velame teologico verrebbe celebrata la Filosofia, intesa soprattutto come «tutto il corso dell’iniziazione antica », le cui radici si troverebbero nelle dottrine pitagoriche e platoniche in primis, come in tante tradizioni misteriche. Questo ‘filo d’oro’ giungerebbe così, grazie alla Commedia e all’opera di altri ‘fedeli d’Amore’, fino a noi. Gabriele Rossetti è così lo snodo decisivo di tutta una scuola d’interpretazione allegorica e misterica di Dante, che affonda le sue radici nel tardo Medioevo, nel Rinascimento e che arriverà poi ai grandi nomi di Giovanni Pascoli e di Luigi Valli. Secondo Stefano Salzani, «Gabriele Rossetti ha avuto un ruolo fondamentale nell’interpretazione ‘esoterica’ del Poeta – una parola che per altro egli non usa – visto come iniziato di una ‘Setta d’Amore’ o dei ‘Fedeli d’Amore’, che a suo dire proponeva in modo cauto, per sfuggire alla repressione della Chiesa, tesi in parte eterodosse rispetto alla dottrina cattolica». Le idee di Rossetti furono riprese in Francia da Honoré de Balzac per il quale Dante sarebbe stato un precursore del mistico svedese Emanuel Swedenborg. Bisognerebbe poi almeno citare il palermitano Francesco Paolo Perez di La Beatrice svelata. E ancora: il Valli, così intriso di dantismo rossettiano e pascoliano, sarà sì molto osteggiato dalla dantistica ufficiale del tempo (che ora gli si mostra più mite), ma letto e stimato da Jung, da Mircea Eliade e soprattutto da Henry Corbin, i cui scritti sulla tradizione dei Fedeli d’amore di tanto sufismo (persiano e non) aspettano ancora di essere assimilati da tanta critica dantesca.

In qualunque caso La Beatrice di Dante è un’opera ‘capostipite’, certo discutibile, ma ricca di spunti, di riflessioni e di un’erudizione che sorprende. Colpiscono per esempio le belle pagine dedicate al raffronto Omero- Dante, di sapore vichiano. I due immensi poeti compendiano l’anima e l’immaginazione di un intero popolo, ma sono anche diventati «proprietà di tutto il genere umano di cui posson vantarsi benefattori; ogni gente ha diritto di gridare: Omero e Dante sono miei». Per questo anche sono il Dante di Grecia e l’Omero d’Italia. Interessante anche il ragionare per triadi che percorre il libro. Così Vita Nuova, Convivio e Rime costituiscono un trittico, di cui soprattutto la Vita Nuovaè ‘l’enigma’ e il Convivio ‘la soluzione’. Mentre siamo abituati a una certa contrapposizione tra Vita Nuovae Convivio, dove l’opera filosofica appare anche a rischio di ‘traviamento’, Rossetti cerca una composizione, nel nome di Beatrice. E, sorprendentemente, la ‘donna gentile’ cantata nel Convivio è sempre lei, non l’omonimo personaggio di Vita Nuova. Del resto, argomenta Rossetti, la donna di cui Dante dichiara di essersi innamorato è «quella gentil donna di cui fece menzione nella fine della Vita Nuova»: allora deve per forza essere Beatrice stessa, la cui ‘mirabile visione’ in gloria conclude il libello giovanile.

È sempre Beatrice la Filosofia, da Vita Nuova, al Convivio fino al poema-capolavoro. Al di là di questa tesi, Rossetti sembra precorrere l’interpretazione recente di quei dantisti che cercano una continuità tra le due opere, senza derogare alla diversità. Ma si potrebbero citare tanti altri spunti: Vita Nuova di Dante significa: Iniziazione di Dante, sempre nell’ottica di quel platonismo che vuole innalzare l’adepto dalla bellezza del corpo fisico a un amore più spirituale. La morte e la vita di Beatrice dicono anche il passaggio dall’azione alla contemplazione. Dante e Beatrice sono un tutt’uno, perché l’uomo deve farsi ‘donna’, per entrare nella conversione filosofica. E potremmo continuare. Eppure Beatrice rimane mistero. Nelle suggestioni rossettiane si disperde la donna storica (che si chiami Portinari o altro), si perde il corpo fisico, l’amore umano e quell’antropologia cristiana per la quale non si dà corpo senz’anima, ma anche anima senza corpo. Il mistero di Beatrice è anche il «non fermarsi alla Trinità», come voleva Romano Guardini: Dante si immerge nell’abisso di luce e vi scopre la ‘nostra effigie’. Per questo Beatrice resta anche una donna fisica e l’amore terreno è divinizzato, ma mai disperso, e così la natura e il corpo.

da avvenire.it