Il ministero della Consolazione: come “consolare” i sofferenti e i malati / 2

La consolazione di chi entra nelle prove.

Possiamo affermare che la malattia viene a turbare proprio il mondo spirituale della persona. Anche se ogni persona reagisce in modo differente alla crisi della malattia, in ciascuna avviene una disarmonia della mente, del corpo e dello spirito, che può avvicinare o allontanare la persona stessa da un processo di crescita. Un esempio concreto ci viene espresso dalla classica domanda: «Perché proprio a me?».

È la domanda fondamentale che la persona si pone quando comincia a prendere coscienza della sua malattia.

La domanda non esprime semplicemente una curiosità sul corso degli eventi, ma anche una valutazione della natura e del valore degli eventi, dove non solo la causa è evidente, ma anche ove l’ingiustizia sembra eccessiva rispetto alla responsabilità del sofferente. Questo interrogativo indica il bisogno di:

  • riconoscere se stessi o forse anche conoscersi profondamente per la prima volta;
  • comprendere se stessi, di comprendere la propria situazione, di dare un senso alla propria vita, alla propria sofferenza;
  • sapere dove si va, per dove si parte, attraverso quali momenti misteriosi e angoscianti dover passare;
  • poter esprimere le proprie paure, la propria inquietudine, la propria disperazione, la propria speranza;
  • essere considerata persona vivente.

La relazione, allora, non è semplicemente quello di offrire al sofferente un significato alle sue sofferenze, ma piuttosto di accompagnarlo in un cammino che partendo dalle sue domande, attraverso il dolore della crisi, lo conduca ad elaborare un “suo” significato, che può far integrare la sofferenza nel più ampio contesto della sua vita.

Ricerca del senso vuol dire riuscire a dare un significato che aiuti a valorizzare la sofferenza nell’ambito del rapporto con Dio. Il cammino incerto, lungo della sofferenza, caratterizzato da dubbi, da rifiuti, da momenti in cui segna il passo o si torna indietro, un tempo in cui le parole sembrano essere “vuote”, deve ricreare un rapporto, una relazione significativa.

È proprio in questo vuoto che Dio può essere di nuovo conosciuto; anzi l’apostolo Paolo ci insegna (anche se è difficile) che é proprio lo stato di debolezza il luogo della manifestazione della potenza di Dio. La relazione deve tendere, allora, alla ricostruzione della capacità di ascolto di Dio. Anzi, un tale ministero è la primaria testimonianza dell’ amore di Dio.

Sul volto di un uomo o di una donna, attraverso le sue parole il suo agire, finirà per trasparire qualcosa dell’amore di Dio, grande tenerezza e dolcezza, ma anche grande forza e fermezza.

È l’esempio di Gesù che diventa pedagogico per il nostro ministero: Gesù accetta di subire una sofferenza ingiusta, ma fa di questa uno strumento di salvezza per l’umanità. Infatti,come evidenzia la Salvifici Doloris, la risposta di Gesù al problema della sofferenza avviene secondo tre linee:

  • dell’accostamento degli uomini in situazione di sofferenza, di interesse non superficiale, della condivisione, della presa a carico;
  • dell’ammaestramento: poneva al centro le loro abitudini, indirizzate a uomini provati da svariate sofferenze nella vita temporale;
  • dell’assunzione: Gesù ha fatto la prova del dolore in prima persona, l’ha sperimentato nel vivo della sua vicenda terrena; senza nessuna forma di privilegio, ne ha avvertito la durezza e la drammaticità, non ha chiesto di essere liberato, ma è stata una sua precisa scelta.

Accanto alle tre prospettive che si offrono alla persona sofferente, quali il sopportare la sofferenza, l’integrarla in una visione più ampia della vita, il liberarsene lottando per quanto possibile e cercando di rimuovere le cause, Gesù ci presenta la solidarietà della Croce, nella quale Lui si fa conoscere come Dio che ha sofferto con amore, partecipando come vero uomo al destino umano e condividendolo. Questo fa sì che il vivere cristianamente la sofferenza significhi l’elevazione del dolore nella condivisione di Dio, più che la sua depressione sotto una croce erroneamente intesa come giogo dell’esistenza umana.