I partiti spazzatura

Il rifiuto politico della politica emerge in Occidente con il collasso dei tradizionali centri di governo dell’esistenza ed il fallimento sociale dell’architettura neo-liberale.

Il contagio delle rivolte, la loro diffusione a catena, il tratto esemplare che ognuna di esse esprime, conferma il carattere politico di queste insorgenze. Il declino complessivo del progetto politico moderno lascia spazio alla manifestazione del carattere naturalmente progressivo dell’essere umano, che diviene insofferente ai sofisticati e disseminati dispositivi di controllo e stabilisce tra le proprie priorità, l’eliminazione di tutte le istituzioni che concorrono a rendere il mondo un luogo inabitabile.

il lavoratore isolato


Trenta-quaranta anni fa la centralità economica della grande fabbrica possedeva anche una rilevanza sociale straordinaria che garantiva un forte orientamento culturale e politico.

Da tempo tutto questo è finito: viviamo una realtà disseminata in cui ciascuno dovrebbe diventare imprenditore di sé stesso. Vige una logica dell’isolamento che prescrive l’impossibilità di immaginare un progetto di emancipazione collettivo e impone una precarietà diffusa che aggredisce il corpo, lo sguardo, la mente, l’esistenza di chiunque.

la fine del partito


Negli anni Settanta, anche il partito rappresentava ancora una figura cardine delle pratiche e dell’immaginario politico; un polo di attrazione nodale con cui fare necessariamente i conti. Oggi, chiunque sia intenzionato a pensare seriamente in termini politici le relazioni che si istituiscono nel mondo, non lo fa in rifermento ai partiti. Si potrebbe anzi dire che si riconosce nel partito un produttore di anti-politica, sia perché riduce la politica alla sola questione del governo, sia perché non è in grado di tutelare l’autonomia di questo dalle prepotenze dell’economia.

i dinosauri della conservazione


Il partito, incapace di fornire un orientamento effettivo alle nostre società, è diventato, di fatto, uno dei dinosauri della conservazione. Ciò significa che la politica, nelle sue forme tradizionali, è tramontata; è diventata inadeguata (il caso della più antica democrazia del mondo, la Grecia, attualmente governata da istituzioni economiche transnazionali, è in questo senso una conferma trasparente del perfezionamento di questo processo).

la crisi della politica


In questo contesto, i partiti, tradizionalmente chiamati a mutare lo “stato di cose presenti”, non potevano che subire una crisi strutturale causata sostanzialmente dalla propria insignificanza, perché incapaci di abbandonare il proprio patrimonio culturale di fronte al mutamento profondo della realtà. D’altronde, qualsiasi forza ancorata alla logica politica del moderno, vale a dire restia alla sfida che il nostro tempo impone (inventare un sistema politico per l’età globale), è destinata a svanire o, nel migliore dei casi, a rappresentare un semplice gruppo di opinione.

nuovi orizzonti


Sia chiaro, se è finita una certa politica, ciò non significa che sia finita la politica in quanto tale. Al contrario, sembra aprirsi una prospettiva in cui è l’esistenza stessa, senza alcuna mediazione, ad essere consegnata ad un destino politico.

l’indignazione inutile


Ma la stagione della nuova politica non può nascere da rivolte di piazza che hanno come primo movente un inutile quanto plateale attacco alle forze di polizia; il nemico oggi non è più lo Stato, ma le agenzie finanziarie transazionali e la violenza della finanza globale, che dettano l’assalto definitivo di chi ha tutto contro chi non ha nulla. Nel corpo a corpo con la polizia, vecchio simbolo della potenza dello Stato sovrano, emerge da parte dei protagonisti di questa logica di scontro, un attaccamento al mondo di ieri, che in termini politici, per la crescita del movimento, è assolutamente deleterio. Come se i protagonisti degli scontri non potessero sostenere la grandezza della posta in gioco e non fossero all’altezza della novità da sperimentare.

alla ricerca di un linguaggio


Una rivolta così concepita, finirebbe con l’esprimere un carattere sostanzialmente reazionario, perché praticamente incapace o indifferente alla trasformazione del mondo. La rivolta, per trasformarsi in un evento di rinascita politica, deve saper offrire alle soggettività che vi prendono parte e allo spazio in cui esplode, la possibilità di sperimentare un reale cambiamento. Insomma, non servono rivolte messe in scena solo per soddisfare l’ebbrezza del gesto fine a se stesso; se diventano solo un avvenimento spettacolare, nella società in cui tutto è spettacolo, corrono il rischio mortale di essere ricondotte al già noto e in questo modo, private della loro carica potenzialmente politica, e quindi innocue per qualsiasi posizione di potere e inservibili per qualsiasi istanza di rinnovamento.