Helmuth Kohl e Simone Veil, due destini europei. Eredità politica per affrontare le sfide di oggi

L’ex cancelliere tedesco e la prima presidente del Parlamento europeo eletto a suffragio universale sono mancati a giugno. Consegnano alla storia due biografie parallele ma un unico insegnamento pacifista, democratico ed europeista

L’Europa ha perduto in pochi giorni nel mese di giugno due alte figure politiche e morali, due personalità differenti ma legate dalle loro convinzioni europeiste, due persone che hanno attraversato i drammi dell’Europa del Novecento, due destini europei. Il Presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, ha dichiarato: “L’Europa è la storia di donne e di uomini che hanno avuto il coraggio di insorgere contro gli odi”. Helmuth Kohl e Simone Veil illustrano perfettamente tale proposta.

Helmuth Kohl era nato nel 1930 in Renania, tre anni prima della conquista del potere da parte dei nazisti. Era cresciuto nel contesto della dittatura, della guerra e della distruzione dell’Europa. Profondamente cattolico, aveva aderito subito dopo la guerra alla Democrazia cristiana tedesca (Cdu) ricostruita insieme a una Germania nuova, democratica e federalista, da Konrad Adenauer, che sarà per Kohl un modello.
Fedele all’eredità politica e spirituale di Adenauer, Kohl ha voluto, da ministro-presidente della Renania-Palatinato, da capo del partito Cdu, da ministro e da cancelliere dal 1976 al 1998, integrare la Germania all’Europa. Era convinto che tutte le sventure dell’Europa venissero dalle sventure della Germania, e che bisognava

costruire l’Europa sulla base della riconciliazione, della fiducia mutua, dell’amicizia.

Molto nota è la famosa fotografia di Kohl e del Presidente francese Mitterrand a Verdun, mano nella mano di fronte a migliaia di tombe di soldati caduti su questo campo di battaglia simbolo della follia della guerra, madre di tutte le miserie e degli odi.

Come tutti gli uomini di pace, soffriva per la divisione della Germania e dell’Europa in due parti separate dalla Cortina di ferro. Kohl ha dunque praticato una politica di apertura nei confronti dell’Unione Sovietica e dei Paesi dell’Est sotto il giogo comunista. Aiutato dalla perestroika di Gorbaciov, ha saputo – avendo una grande visione dell’Europa – capire la lezione della caduta del Muro di Berlino, e perseguire la riunificazione della Germania. Non per ricostruire una “grande” Germania, ma per riunire l’Europa sulla base della pace.

Helmuth Kohl resterà nella storia come un grande costruttore.

Aveva avuto nel 1945, sotto i suoi occhi di giovane tedesco, le rovine del suo Paese e provava la vergogna dei crimini più orribili della storia dell’umanità provocati dal suo popolo. Nel 1998, aveva lasciato una Germania riconciliata con se stessa e un’Europa allargata ai Paesi liberati dal comunismo.

Simone Veil era invece nata nel 1927 a Nizza, in una famiglia ebrea non praticante. Fu fermata dalla Gestapo nel marzo 1944, e deportata a Auschwitz, poi a Bergen-Belsen. Aveva 16 anni. Sopravvissuta all’inferno nazista, tornata in Francia, cominciò una carriera nella magistratura e in politica, nel centrodestra. Fu ministro di Giscard d’Estaing e di Chirac. Fu una militante della Memoria, affinché non si dimenticassero mai gli orrori dei campi di concentramento e della Shoah. Sosteneva, però, che bisognava fare la distinzione tra i nazisti e i tedeschi. Per tale ragione fu nello stesso tempo una militante della costruzione di un’Europa unita, scuola di pace e di democrazia e per la promozione dei diritti umani, in particolare delle donne.

Simone Veil era convinta che il bene comune europeo sorpassasse gli interessi nazionali

e dunque ella difendeva una visione federalista dell’Europa. Fu la prima presidente del Parlamento europeo eletto al suffragio universale nel 1979.
Per Veil come per Kohl, l’Europa era vista come un destino comune. Tutti e due hanno ricevuto il Premio Carlo Magno, Simone Veil nel 1981, Helmuth Kohl (insieme a François Mitterrand) nel 1988. Due destini europei che hanno attraversato un secolo “di ferro e fuoco”, senza mai perdere la fiducia degli europei. Hanno incarnato, ciascuno a proprio modo, la speranza europea.