Politica

Dopo il voto umbro il governo vacilla

Più che mettere in discussione le alleanze, sarebbe il caso che i partiti che sostengono l'esecutivo si interrogassero sulla gestione disordinata e contraddittoria, con punte di autentico autolesionismo, della genesi della manovra economica

Più che mettere in discussione le alleanze, sarebbe il caso che i partiti che sostengono l’esecutivo si interrogassero sulla gestione disordinata e contraddittoria, con punte di autentico autolesionismo, della genesi della manovra economica.

Uno dei drammi della politica italiana è l’aver smarrito il senso del tempo. Quando è nato il secondo governo Conte – era il 5 settembre, cioè l’altro ieri – i ragionamenti dei protagonisti ipotizzavano un percorso lungo, se non fino alla scadenza naturale della legislatura, almeno fino all’elezione del nuovo Capo dello Stato, all’inizio del 2022. Dopo il voto in Umbria l’esecutivo sembra già vacillare. Un primo colpo, a onor di cronaca, lo aveva ricevuto appena nato, con la scissione di Renzi dal Pd. Ma il risultato delle regionali umbre, non tanto per l’esito in sé ma soprattutto per le sue proporzioni, sembra aver rimesso in discussione tutto. Come se l’orizzonte della politica fosse il giorno per giorno e non fosse necessario considerare almeno il medio periodo per far maturare (o sconfessare) un’alleanza inedita come quella tra M5S e Pd.

Un’alleanza che ha dato vita al governo in carica e che si è cimentata dopo neanche due mesi con una difficilissima prova elettorale. In Umbria la Lega aveva già conquistato Perugia, Terni e molti altri dei centri principali e la giunta regionale di centro-sinistra aveva dovuto interrompere in anticipo il suo mandato per uno scandalo giudiziario. Ricordare questi potenti fattori locali non sminuisce affatto la portata del voto umbro, vuole essere invece un invito ad analizzare lucidamente la situazione mantenendo i nervi saldi. Il Parlamento sta per affrontare la legge di bilancio e la maggioranza ha il dovere di assicurare al Paese un governo responsabile, per non parlare delle riforme che sarebbero necessarie per sbloccare l’Italia dallo stallo in cui è impantanata. Piuttosto che mettere in discussione le alleanze, elettorali e non, sarebbe il caso che i partiti che sostengono l’esecutivo si interrogassero sulla gestione disordinata e contraddittoria, con punte di autentico autolesionismo, della genesi della manovra economica. Il rischio è che questa schizofrenia diventi la cifra dei prossimi mesi.

Tanto è confusa la situazione su questo versante, tanto è chiara sull’altro. E questo elemento – al di là di considerazioni ben più profonde sulle dinamiche in atto nella società italiana – offre alla Lega e ai suoi alleati un vantaggio competitivo formidabile. Il polo dell’opposizione al governo è egemonizzato da Salvini e dalla sue posizioni politiche e vede crescere sistematicamente i consensi di Fratelli d’Italia, mentre la componente centrista – Forza Italia – è sempre più ridotta. “Il centro-destra è il passato”, ha dichiarato pubblicamente Salvini. Chi lo sceglie nell’urna sa per chi e per che cosa sta votando, non altrettanto si può dire dei partiti della maggioranza giallo-rossa. E la differenza nei risultati si vede.

Che cosa accadrà nei prossimi mesi nessuno ora è in grado di affermarlo con certezza. Non è neanche detto che la geografia politica resti la stessa di oggi. Speriamo almeno che nel fare legittimamente i conti con le loro ambizioni, i partiti, tutti i partiti, non perdano di vista il bene del Paese che nel dibattito politico, a volte, sembra solo un puntino all’orizzonte.

Dal Sir