Coronavirus

Dalle staminali i farmaci anticovid, il punto sugli studi italiani

Le cellule mesenchimali estratte da midollo, placenta, cordone e adipe protagoniste dell'attività nei laboratori contro il virus. Un fronte promettente ma ancora poco conosciuto

Cercare strade alternative al vaccino nella lotta al Covid-19: può valere la pena o non ci sono sufficienti evidenze per approfondire? E le cellule staminali o, più in generale, la medicina rigenerativa può essere di aiuto? Sembrerebbe di sì, stando alle numerose ricerche in tutto il mondo e anche nel nostro Paese su questo fronte, in particolare quello delle staminali di tipo mesenchimale, le cellule presenti nel midollo osseo, tessuto adiposo, placenta, cordone ombelicale e altre parti dell’organismo.

Un lavoro particolarmente interessante è quello del team di Maria Luisa Torre, responsabile del Cell Delivery System Lab dell’Università di Pavia, tra le fondatrici del Gruppo Italiano Staminali Mesenchimali (Gism) presieduto da Augusto Pessina. Attraverso una tecnologia innovativa, ha messo a punto il “secretoma”, un cocktail di sostanze attive prodotte dalle stesse staminali mesenchimali. La ricerca, pubblicata su Cells, mette in luce il ruolo di primo piano che l’Italia ha da tempo nell’impiego di queste cellule note per le spiccate proprietà rigenerative e immunomodulanti.

«Il nostro lavoro parte dalla scoperta, 10 anni or sono, che le proprietà delle staminali non dipendono tanto dalla loro differenziazione ma piuttosto da ciò che producono – spiega Torre –. Con questa premessa abbiamo pensato di far produrre in vitro alle cellule questo mix di sostanze attive per somministrarlo, poi, come un farmaco tradizionale. Siamo arrivati a brevettare il fitocomplesso, mettendone a punto un processo scalabile da trasferire in grossi lotti di produzione, secondo le normative in vigore. Se è più complicato ottenere un farmaco, risulta però molto più accessibile delle terapie cellulari».

Il mix di sostanze attive, il cosiddetto secretoma, è composto da proteine, lipidi, materiale genetico e altre molecole, già testato per la sua azione antinfiammatoria e antifibrotica in fase preclinica. «Con la tecnologia messa a punto – chiarisce la ricercatrice – è possibile trasformarlo in una polvere liofilizzata, secca e stabile, e confezionarlo in fiale, facilmente utilizzabili su larga scala. Abbiamo visto nei topi effetti marcati di rigenerazione tessutale e già ottenuto dal Ministero l’approvazione di un protocollo clinico per l’osteoartrosi su cane e cavallo. Abbiamo buoni motivi di credere che questa nostra “polvere” possa essere davvero utile sia nella fase acuta dell’infezione da Covid-19 sia per i danni permanenti come le estese lesioni fibrotiche presenti nei polmoni di alcuni pazienti guariti. Siamo pronti per i primi trial di sicurezza e efficacia, la strada è lunga e servono fondi ma sono molto fiduciosa e la ritengo una strategia vincente, grazie anche alla rete di contatti che continuiamo a costruire per raggiungere l’obiettivo».

Un altro filone in rapida evoluzione è la ricerca in corso, autorizzata dalla Food and Drugs Administration americana, condotta dall’équipe di Camillo Ricordi, direttore del Diabetes Research Institute (Dri) and Cell Trasplant Center di Miami, che si propone di bloccare l’infiammazione polmonare indotta dal Covid-19 a mezzo di infusioni intravenose di staminali mesenchimali derivate da cordone ombelicale.

«Siamo da 15 anni impegnati nello studio di queste cellule di cui abbiamo evidenziato il forte potere antinfiammatorio e immunomodulante – spiega Ricordi – facendone uso contro il diabete di tipo 1, nei trapianti di rene e nel morbo di Alzheimer, con grossi vantaggi terapeutici. Nel caso, però, di diabete o patologie renali, quando le cellule vengono iniettate endovena, c’è la complicazione del filtro polmonare, dove il 95% rimane intrappolata, situazione ideale, viceversa, per il Covid-19 dove l’organo bersaglio è proprio il polmone».

La sperimentazione in corso mira a verificare la sicurezza e l’efficacia delle infusioni di staminali mesenchimali su oltre 40 pazienti affetti da Covid-19. L’infiammazione indotta dal virus e la conseguente risposta immunitaria che finisce per aggredire i tessuti come nelle patologie autoimmuni suggerisce che le terapie combinate siano quelle maggiormente efficaci e, da questo punto di vista, le staminali sono lo strumento ideale per la riparazione.

Il team di Miami si sta già attrezzando per un secondo trial che coinvolgerà altri 120 pazienti provenienti da diversi centri americani. «Vorrei sottolineare – conclude Ricordi – che la nostra è un’iniziativa accademica no-profit altamente collaborativa, con l’obiettivo di creare una sorta di banca di queste cellule, a titolo gratuito. Il nostro protocollo è disponibile online sul sito di CellR4.org, la rivista ufficiale della fondazione The Cure Alliance (www.thecurealliance.org) che sostiene il nostro lavoro. È importante infatti unire le forze, e ogni giorno la nostra rete si allarga sempre più. Al momento sono in contatto con team da tutto il mondo, dal Sud America all’Europa, le Università di Stanford e Harvard per gli Stati Uniti».

Anche l’Italia è coinvolta direttamente nel progetto attraverso il coordinamento di Massimo Dominici, oncologo dell’Università di Modena e Reggio Emilia, per valutare l’efficacia delle mesenchimali staminali di diverse origini (tessuto adiposo, placenta o midollo osseo) impiegate in cinque cell factories italiane. «Subito a metà marzo – spiega Dominici – quando è cominciata la fase più critica per il nostro Paese, abbiamo cominciato a collaborare per un protocollo clinico basato sull’uso di queste di cellule e che l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) valuterà il 21 luglio. Lo riteniamo molto promettente non solo per la fase acuta dell’infezione da Covid-19 ma anche nelle lesioni croniche, così come per alcune patologie cardiache e oncologiche. Il messaggio migliore che ci ha lasciato questo momento difficile è che “insieme si può fare”. E questo può e deve valere anche per la scienza, nel vero spirito di una ricerca a servizio dell’uomo».

da avvenire.it