Carità politica e crisi della Chiesa in Europa. Mons Molinari: «Associazione della Carità politica, ricordi che conservo nel cuore»

Le sei edizioni del Convegno internazionale sulla dottrina sociale della Chiesa e sulla carità politica (cinque a Rieti e una alla Gregoriana) si tenevano di norma nel convento di Sant’Antonio al Monte nel mese di ottobre, quando la vita pubblica e quella religiosa riprendevano dopo l’estate che distraeva l’occhio e l’anima dalle cose serie, deconcentrava e sviava l’interesse su quelle vane, che divertivano e svagavano, ma non formavano.

Dal ’90 al ’96 fu vescovo di Rieti e tra gli organizzatori di quei convegni, invenzione passione e studio del prof. Alfredo Luciani, mons Giuseppe Molinari, ora arcivescovo emerito de L’Aquila, che raggiungo per telefono presso la residenza universitaria San Carlo Borromeo a Coppito, ove l’amato presule ha il proprio studio e dove ogni mattina è possibile trovarlo. Ho da chiedergli più di un’informazione e la conferma di notizie necessarie alla redazione di alcune pagine del nuovo libro, scritto assieme a Ileana Tozzi, che per ora ha un titolo solo provvisorio: Giustino de Sanctis presidente della Cassa di Risparmio di Rieti e la tela di ragno dei suoi lunghissimi anni.

Riattacco dopo una lunga conversazione e dopo aver chiarito i punti di quegli incontri che il tempo aveva quasi cancellato e che Molinari mi ha aiutato ad appuntare, apprezzando il progetto di ricordare de Sanctis a quindici anni dalla sua morte.

«Seppi del bene che aveva fatto dirigendo la Cassa di Risparmio – mi conferma l’Arcivescovo – Lo conobbi quando frequentava le liturgie in Cattedrale. Ebbi rapporti più frequenti con suo figlio Innocenzo, che era attivo nella vita civile di Rieti”.

Non mi sorprende l’affabilità di Monsignore e la precisione delle risposte ottenute. Due giorni dopo, però, ecco che trovo una gradita sorpresa nella buca della posta: una busta che mi arriva dall’arcivescovo, polputa di fogli, con il timbro d’inchiostro rosso, come è uso dell’emerito de L’Aquila, uscito miracolosamente salvo dal terremoto che distrusse la sua camera da letto, perché si trovava in altra stanza a pregare alle ore 3:32 della notte del 6 aprile 2009.

Don Giuseppe ha voluto aggiungere riflessioni particolari sull’argomento della carità politica e ricavarne considerazioni, legami e riferimenti al centenario delle apparizioni della Madonna a Fatima, all’attentato a Giovanni Paolo II, alla scristianizzazione dell’Europa

I fogli contengono il testo di una lettera che l’arcivescovo ha voluto datare così: «11.10.17 Anniversario dell’inizio del Concilio Vaticano II». Come a dirmi di non dimenticare quell’avvenimento epocale e, con l’occasione, di ricordare insieme «qualche momento del mio ministero episcopale a Rieti». Un tempo che per don Giuseppe, come si faceva chiamare, fu la sua prima esperienza di vescovo, rimastagli quindi carissima.

«Sono ricordi che custodisco nel cuore. È stato un tempo per me ricco delle più belle esperienze. Uno dei capitoli è la storia dell’Associazione “Carità Politica” di Alfredo Luciani».

E qui il discorso, anche se per telefono, si è fatto ampio, perché la questione di fondo di quei convegni era come giungere a convertire la politica e i personaggi che la praticavano per professione e missione. Per frequentare quei convegni, uomini potenti e famosi vennero da tutto il mondo. In tutti i cinque incontri, della durata di quasi una settimana ognuno, giunsero a Rieti in totale più di cento ambasciatori. Soprattutto dai Paesi dell’Est europeo e dell’America latina. Dai Paesi che avevano sofferto le dittature. Ci furono gli inviati di Gorbaciov, di Fidel Castro, il sindaco socialista di Atene Antonis Tritsis, il governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio, un gruppo di gesuiti capeggiato da padre Jean-Yves Calvez, direttore di «Études», la rivista gesuita di Francia, e da padre Aloysius Fonseca, economista celebre a livello mondiale, Jury Karlov, ambasciatore dell’Unione Sovietica e Fermin Rodriguez Paz, capo della delegazione diplomatica di Cuba presso la Santa Sede.

«Mi ricordo che padre Giampaolo Salvini S.I., allora direttore de «La civiltà cattolica»,molto amico e spessissimo consultato da Luciani, un giorno ha scritto un bell’editoriale sulla sua rivista. Descriveva la situazione dell’Italia di allora, contrassegnata da tanti problemi, e concludeva: “Il rimedio è la carità politica”, cioè l’opera di uomini e donne capaci di vivere l’insegnamento politico come missione.

Nei primi tempi che ero arcivescovo de L’Aquila, il nostro Istituto Superiore di Scienze Religiose organizzò un incontro, nella Cattedrale Bernardiniana, tra tutti i rappresentanti delle varie forze politiche che dicevano d’ispirarsi alla dottrina sociale della Chiesa. C’erano Comunione e Liberazione (con Cesana), c’erano i Cristiani per il socialismo, c’era Follini … E c’era anche De Mita.

De Mita, alla fine dell’incontro, mi si avvicinò e mi disse: “I politici bravi ci sono; ma dovrebbero essere santi!”.

È una grande utopia! Ma tutto il Vangelo è un’utopia! È una strada lunga. Ma non ce ne è un’altra. Anche il Vangelo è … una strada lunghissima, che ci propone la conversione dei cuori.

Qualche volta vedo in televisione, su Rai Storia, le vicende piene di crudeltà, cinismo e ferocia di Hitler, di Mussolini, di Stalin, della dittatura del Salvador (dove fu assassinato Oscar Romero, dagli squadroni della morte, armati dalla destra più feroce) e concludo che … nessuna rivoluzione fatta con la violenza può cambiare questa nostra storia. Rimane solo la rivoluzione inaugurata da Gesù … con tutta l’enorme fede e pazienza che richiede a tutti coloro che si dicono cristiani.

E, comunque, andando avanti negli anni, mi convinco sempre più che … non sono io il salvatore del mondo. È solo Gesù Cristo! Ma Gesù ci chiede di fare con lealtà e con generosità la nostra piccola parte … (e … tanta umiltà!)».