Laudato si'

Alla ricerca di concrete esperienze di rinnovamento: gli studenti del corso di laurea in Ecologia integrale ad Amatrice

Il 23 marzo gli studenti del Joint Diploma in Ecologia Integrale dell'Università Gregoriana hanno vissuto un'intensa mattinata ad Amatrice, a confronto con la situazione del sisma, con i suoi problemi, ma anche la forza di rinascere, la volontà di ricostruire e dare vita a una nuova alleanza con il territorio

Il terremoto capovolge non solo le case, ma anche le vite delle persone. E interroga sul rapporto tra uomo e ambiente, tra i luoghi dell’abitato e il contesto naturale. È sul filo di questa premessa che gli studenti del Joint Diploma in Ecologia integrale dell’Università Gregoriana hanno voluto fare esperienza della realtà di Amatrice, vivendo l’appuntamento in uno dei container allestiti tra le rovine del complesso “Don Minozzi”. Il corso di laurea prevede infatti un ciclo di laboratori affidati a Cecilia Dall’Oglio, che da coordinatrice del “Movimento cattolico globale per il clima” conduce gli studenti all’«immersione diretta in alcune concrete esperienze di rinnovamento ecologico».

Trovare semi di speranza

Una ricerca di concreti semi di speranza, perfettamente nelle corde dei sacerdoti e dei laici iscritti al corso coordinato da padre Prem Xalxo. Tutti si rivolgono al ciclo di studi mossi dal desiderio di fare qualcosa per la madre Terra, raccogliendo la sfida educativa aperta dall’enciclica Laudato si’ e la conseguente necessità di coltivare un’alleanza per la cura della casa comune.

Studenti da tutto il mondo

Il pullman giunto nella mattinata di sabato 23 marzo ha portato nel laboratorio a cielo aperto di Amatrice gli studenti provenienti da Roma, ma originari di diverse parti del mondo: durante le presentazioni sono state elencate, tra le altre, presenze da Camerun, Colombia, Messico, Benin, Costa d’Avorio e Perù. Un sacerdote iscritto ai corsi del Joint Diploma proviene da Haiti, dove a sua volta ha vissuto la devastazione del terremoto.

A confronto con il sisma

Una singolare coincidenza per una giornata dedicata proprio al confronto con l’esperienza viva e drammatica del sisma: la rimozione delle macerie, le difficili condizioni per chi è rimasto a vivere nelle soluzioni abitative d’emergenza, la popolazione più che dimezzata dalla mancanza di servizi e prospettive. Ma anche la forza di rinascere, la volontà di ricostruire, di resistere e dare vita a una nuova alleanza con il territorio.

Ad accogliere padre Prem, Cecilia Dall’Oglio e gli studenti della Gregoriana è stato il vescovo Domenico, che per aiutare a capire cosa il terremoto produce e significa ha proposto la visione di un interessante video. Lo aveva realizzato nelle fasi immediatamente successive alla prima emergenza un’appassionata volontaria della Caritas: un filmato pregevole perché non esagera né smussa la realtà, ma lascia parlare le persone e i paesaggi, riuscendo a restituire in modo onesto la situazione di chi ha perso sicurezze materiali e affetti.

Dalla testimonianza in video si è poi passati a quella in prima persona. Mons Pompili ha infatti chiamato a parlare una giovane mamma di Amatrice, scampata insieme alla famiglia alla tragica notte del 26 agosto 2016. Nelle sue parole, rotte un poco dall’emozione, il ritrovarsi circondati dal disastro, lo sgomento di ritrovarsi senza neppure gli abiti per cambiarsi, lo sforzo nel soccorre gli altri e mettere a riparo i propri bambini. E poi l’esperienza in tenda, l’aiuto avuto dalla Caritas, la travolgente forza della solidarietà da parte di tutta l’Italia. Insieme al riconoscimento di come molti degli interventi necessari per ritrovare la speranza e andare avanti siano arrivati dalla Chiesa.

L’azione della diocesi

«Abbiamo fatto e facciamo cose che forse non sono nella nostra competenza specifica – ha spiegato don Domenico, chiamato in causa sul punto – ma in questo abbiamo trovato una chiave per stare vicino alle persone. Per la nostra Chiesa il terremoto è stato una grande sfida: ha cambiato la nostra agenda quotidiana e ci ha costretto a procedere in modo inedito. È stato un momento distruttivo, ma anche creativo. Siamo stati provocati a non limitarci a una vicinanza del momento, abbiamo avuto chiara la necessità di un accompagnamento da articolare anche nel medio e lungo periodo».

La contesa tra uomo e ambiente

Il vescovo si quindi è lasciato interrogare sui temi strettamente ambientali, seguendo l’invito di padre Prem a cogliere nel territorio devastato la difficile relazione tra uomo e ambiente, ma anche approfittando delle immagini appena proiettate. «Da una certa altezza in su, tutto sembra incontaminato, come prima del terremoto», ha notato mons Pompili. «Ma se lo sguardo scende si coglie la drammaticità di una situazione che è allo stremo. Oggi le macerie sono state quasi completamente rimosse. Il risultato è una tabula rasa, sulla quale spiccano la torre civica e le chiese di Sant’Agostino e San Francesco». Da quello che è stato il centro storico di uno dei borghi più belli d’Italia lo sguardo si allarga: «il problema – ha sottolineato il vescovo – riguarda tutta la dorsale appenninica. L’intero centro Italia è ad alto rischio sismico. Questo territorio è stato colpito più e più volte. Si potrebbe fare la storia di certe chiese a partire dai terremoti».

Le ragioni per ricostruire

Paradossalmente è a questo punto che si trovano le ragioni per ricostruire in un contesto pericoloso e difficile. Perché le cento chiese distrutte tra Accumoli e Amatrice testimoniano dei tempi in cui questi paesi arrivavano a contare tra i 10.000 e i 15.000 abitanti. E il pregio artistico degli edifici di culto racconta anche la ricchezza che il territorio dei Monti della Laga era in grado di produrre. «C’era una vivacità legata all’essere luogo di passaggio da tra il nord e il sud dello stivale evitando di entrare nello Stato Pontificio, insieme alla forza economica derivante dall’allevamento e dagli opifici». Poi il fenomeno dell’urbanizzazione ha portato allo svuotamento delle zone agricole di montagna, in favore delle grandi città. Un modello che oggi sembra essere in discussione, che mostra i suoi limiti tanto più cresce la consapevolezza del tema ecologico e di come è legato alla giustizia sociale e alla qualità della vita. «Pensando al rapporto tra uomo e ambiente, non abbiamo fatto abbastanza i conti con la possibilità di ritorno», ha sottolineato don Domenico, alludendo a un’inversione di tendenza possibile se si dà seguito alla ricostruzione seguendo quei criteri antisismici che rendono possibile una serena convivenza con un territorio che ha molto da offrire. È vero: oggi mancano la sicurezza e i servizi, ma si intravede pure la possibilità di una qualità di vita tale da convincere molti a restare a dispetto di tutte le difficoltà.

Verso Casa del Futuro

È all’interno di questa lettura che la diocesi sta portando avanti con decisione la costruzione della Casa del Futuro – Centro studi Laudato si’ nell’area in cui sorgeva il complesso realizzato negli anni trenta da don Giovanni Minozzi. «Potrebbe sembrare una proposta troppo ambiziosa, addirittura eccessiva», ha riconosciuto il vescovo commentando la breve presentazione del progetto curata dall’Ufficio Beni Culturali della diocesi. In realtà l’opera corrisponde all’esigenza di raccogliere l’eredità lasciata da don Minozzi, anche facendone un modello esigente, un esperimento di nuova urbanistica per i centri rurali. Un modo per interpretare le domande, i dubbi, le speranze della ricostruzione nel modo più ampio possibile.