12. Gli organi del’ex chiesa di San Donato a Rieti

Gli organi portatili (XVII-XVIII secolo)

Fa una certa tristezza raccontare di organi che non esistono più e di una chiesa che non è più chiesa (e più di qualcuna hanno fatto questa fine). Mentre però dei primi non resta niente di niente, della seconda resta l’involucro, la veste esteriore, ossia la facciata e il campanile vuoto e muto. Parlo, nel caso specifico, di S. Donato in via Cinthia, chiesa antichissima e già parrocchiale, da tempo sconsacrata e adibita ad usi profani.

In S. Donato nel 1661 fu istituita la Confraternita della Beata Colomba, che per tutto quel secolo si servì, per le sue feste, di organi portatili presi a prestito da diversi organari e suonati da vari maestri di cappella del duomo. Tra i primi sono nominati espressamente Giovanni Battista Boccanera (1690) e Carlo Foschi (1705 e 1709), tra i secondi Simone e Biagio Cervelli o Cerelli, Giacomo Costanzi, Pietro Flacchi ecc.

Nel secolo successivo, la Compagnia ottenne l’uso o la proprietà dell’altare maggiore (1727), dedicato alla propria titolare, rappresentata nell’atto d’intercedere per liberare la città dalla peste del 1656 (opera del reatino Salvatore Tarchi, oggi nella sagrestia di S. Pietro Martire). Divenuta la principale responsabile della chiesa, la confraternita, con l’aiuto di parrocchiani e cittadini e dei molti devoti della Beata reatina, fece ricostruire il tempio, affidandone la realizzazione all’architetto e capomastro ticinese Michele Chiesa e al suo collega e conterraneo Anton Maria Ravazzani. Sistemata la struttura, pensò subito all’arredo e innanzitutto all’organo, che in una chiesa di quell’ampiezza e decoro non poteva mancare.

L’organo di Adriano Fedri (1752)

Prima della fine del 1751, infatti, la confraternita della Beata Colomba in S. Donato decide di installarvi un organo «a magior gloria di Dio e di detta Beata». Voleva uno strumento di sette piedi, del valore di 100 scudi, ben fatto e di ottima qualità. Si mette perciò alla ricerca di un maestro organaro che fosse all’altezza. Per sua fortuna lavorava allora ed abitava a Rieti il grande Adriano Fedri, nato in Atri (Teramo) da una famiglia di noti organari di origine marchigiana. Di meglio la confraternita non poteva davvero trovare. L’esimio maestro cerca in ogni modo di andare incontro ai desideri del pio sodalizio e prima del 20 dicembre 1751, o quel giorno stesso, detta ad Antonio Stoli, un giovane reatino ben istruito, gl’impegni che egli intendeva assumere per la costruzione del nuovo strumento.

Premette che sarà un organo di 100 scudi, ma al prezzo di 75, di cui 65 dalla confraternita e 10 da un benefattore innominato. Anzi, se quest’ultimo dovesse mancare alla promessa, egli si accontenterà dei 65 della confraternita, da pagarsi 30 alla stipula dell’atto e il resto entro il 1754. S’impegna inoltre a mantenerlo funzionante per quattro anni, ripulendolo ogni anno, accordandolo e facendovi quanto necessario. La confraternita, oltre i 65 scudi, dovrà fornire il legno necessario per l’organo e per la cassa. Al resto penserà lui. S’impegna a terminarlo per il 20 maggio 1752, festa della Beata Colomba. Una volta finito, potrà essere rivisto da esperti e, se non sarà trovato idoneo, lui lo rifarà a sue spese o ridarà indietro la somma incassata.

I particolari tecnici li apprendiamo dalla carta dettata al giovane Stoli e firmata da Adriano Fedeli-Fedri, nella quale si legge quanto segue:

«Io sottoscritto offerisco e mi obligo di fare alla venerabil Congregazione della B. Colomba in S. Donato di Rieti un organo della qualità infrascritta [omissis].
Il sudetto organo deve essere di sette piedi col suo ripieno di sette registri, che sia di ottimo tuono romano.
Primo. Registro di Principale debba esserci otto bassi di legno aperti, e quelli che non vi andaranno per l’altezza del sito, che non vi sarà, farli piegati, colla sua mostra di stagno fino, e la prima canna di essa debba essere Cesolfaut, messa a tre castelli tutta centinata in bel modo ed architettura.
Secondo. Voce Umana come il solito a farsi, cioè che sia mezzo principale.
3°. Registro Flauto in quinta duodecima tutto di piombo con sua lega di stagno.
4°. Registro Ottava parimente tutto di piombo e sua lega come sopra.
5°. Registro Quintadecima tutto di piombo e sua lega come sopra
6°. Registro Decimanona parimente come sopra.
7°. Registro Vigesima seconda, ed il rimanente che vi sarà per il compimento di sette registri.
Questi sono tutti i registri che devono essere in detto organo, e dette canne devono essere di piombo legato colla mistura fatta di stagno piombo e margherita, e le grossezze di dette canne debbano essere di grossezza giusta da ottimo professore.
Primo. Debba farci il Bancone nuovo centinato a tre castelli, ed il detto Bancone debba esser di noce ben stagionata altrimenti etc. La Mostra di detto organo debba essere di canne n° 21.
Secondo. Debba farci due mantici di lunghezza palmi otto e mezzo di noce con sua sopracassa d’intorno a detti mantici, a due impellature doppie con sua cartapecora.
3°. Tastatura di busso ben lavorata ad uso d’arte di tasti n° 45.
4°. Riduzione di ferro.
6° .[sic] Registratura col suo tiratutti e pometti di busso.
7°. Rotoni di noce per li mantaci. [omissis].
Io Adriano Fedeli mi obligo come sopra mano propria».

Il 20 dicembre la carta viene registrata e il 22 si va davanti al notaio e si roga l’atto. Per la Confraternita era presente il priore Giacinto Acuti. Nell’atto si ripetono, punto per punto, e in parte con linguaggio più chiaro, quanto abbiamo letto nella carta appena riportata e sottoscritta dall’organaro. Si aggiunge che a lui vengono subito sborsati i 30 scudi promessi alla stipula e che detta somma era il ricavato della vendita «di tanto grano questuato» quasi certamente dai confratelli tra i fedeli del rione per poter pagare lo strumento, come è detto esplicitamente in un documento posteriore (v. più avanti).

Senza meno l’organaro, allora poco più che trentenne, tenne fede ai patti, consegnando nei tempi stabiliti un ottimo strumento, per il quale la confraternita aveva già preparato la cassa e una bella orchestra o cantoria. Tra le uscite di quegli anni, infatti, si registrano spese «per le porticine per l’organo» e «tavolone nel organo». Nel 1745, con decreto del 20 aprile, aveva deciso di fare la balaustra «avanti l’altare della beata Colomba e fare la cassa dell’organo». Non è escluso però che questi provvedimenti non si riferissero a uno strumento secentesco e comunque precedente a quello di Adriano di cui non abbiamo notizia.

In una relazione del 20 novembre 1775, circa trent’anni dopo l’installazione dell’organo Fedri, si legge: «Trovasi in essa chiesa [di S. Donato] un organo ed orghesta di legno con cornici» e si aggiunge che l’organo era stato fatto con le elemosine dei fedeli raccolte dalla Confraternita, e in un’altra del 20 aprile 1780 che «l’orchesta con l’organo» era ai piedi della chiesa.

Ma ben presto (1776),

«siccome il crivello del nostro organo si era rotto e quasi tutte le canne erano cadute e bona parte piegate e parte amaccate e tutto l’organo andava a perire»,

fu chiamato ad aggiustarlo Salvatore Porrina, che più volte in precedenza (almeno dal 1772) era stato pagato «per accordatura e accomodatura» dello strumento, come lo sarà in seguito almeno fino al 1780, quando incassò una certa somma «per haver scomposto e ricomposto l’organo ed accordato».

Oltre l’organo e i musici locali, nel corso del XVIII secolo, alle feste della beata Colomba intervennero innominati «musici forestieri» nel 1773, un «violoncello forestiero» e il contrabasso di Domenico Miniucchi nel 1777, Patrizio Ungarini e figlio nel ’78, che si ebbero scudi cinque «per aver sonato il violino in due funzioni».

L’organo del 1866

Nel 1823 la Compagnia, insieme con quella della Morte, alla quale era unita da più di un secolo, fu trasferita in S. Pietro Martire. Il vecchio organo di Adriano Fedeli-Fedri, già malandato e in abbandono (1825), nel 1866, per iniziativa del parroco don Battista Bravi, fu sostituito da un organo nuovo costato lire 244,82, di cui non conosciamo l’autore. Nel 1917 era ancora in buono stato. Oggi non ne resta traccia e la chiesa di S. Donato, come già accennato, è adibita ad usi profani.