Don Domenico: «la Giustizia non basta. Abbiamo bisogno di Dio»

«Fa un certo effetto vedere che la porta della Cattedrale sembra essere oggi un fiume in piena, ma è proprio questo ciò che l’Anno Santo della Misericordia intende ritrovare: una porta aperta che non tema la confusione che viene dall’esterno, perché tra ciò che è dentro e ciò che è fuori c’è un rapporto strettissimo, necessario. Perciò ben venga qualche momento in cui, essendo in tanti, abbiamo provato qualche disagio. Ma la porta aperta dà il senso del fiume che scorre, della Chiesa che continua a percorrere i sentieri della storia degli uomini e delle donne».

Così il vescovo Domenico ha commentato lo straordinaria partecipazione all’apertura della “Porta della Misericordia” in una Cattedrale piena fino al limite ed una folla di pellegrini a fare la fila per attraversarne la soglia. E a questo popolo di fatto di giovani e vecchi, di confraternite e associazioni, di devoti e curiosi, mons. Pompili ha girato la domanda che risuona nel Vangelo di Luca: «Che cosa dobbiamo fare?»

«Una domanda che nei momenti di crisi e difficoltà emerge sempre – ha sottolineato il vescovo – una domanda che a Giovanni al Battista fanno genti diverse, pubblicani, prostitute e perfino militari. E Giovanni dà a ciascuno una risposta puntuale, dice che è possibile fare qualcosa di molto concreto, alla nostra portata, adeguato alla vita di ogni giorno».

Le chiavi della giustizia

Si tratta infatti di «Condividere» (“chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha”), di «non approfittare» (“non esigete nulla di più di quanto vi è stato chiesto”, dice ai pubblicani) e di «non usare violenza» (“non maltrattate e non estorcete niente a nessuno, contentatevi delle vostre paghe”).

«Sono tre indirizzi concreti che trovano una perfetta corrispondenza nella vita di oggi» ha aggiunto don Domenico: «come potremmo attraversare la Porta Santa senza sentire in noi forte il disagio per un mondo che è ancora segnato da stridenti giustizie, in cui c’è chi ha problemi di obesità e chi ha problemi di fame. Come non sentire che tutto questo ci riguarda, che la fede non è estranea rispetto ai travagli di molti, che non riescono a sbarcare il lunario, che non è estranea ad una situazione diseguale, che non colpisce tutti alla stessa maniera?»

Ma il vescovo ha indirizzato ad analizzare anche i rapporti interpersonali: «spesso sono contrassegnati dalla violenza, quando ciascuno facendo forza sulla propria posizione cerca di intimidire, di tenere sotto tutela, di umiliare».

La giustizia non basta

«La posizione di Giovanni è chiara, è proprio quello che ci è necessario» ha riconosciuto don Domenico, «ma non basta. Nonostante le risposte il popolo resta in attesa e si domanda se non sia egli stesso il Messia. Colpisce questa escalation della domanda. Non basta sapere cosa fare. Quand’anche lo sapessimo resta un fatto: la gioia non ne viene di conseguenza. Anzi un mondo giusto, quando mai ci si arrivasse, non sarebbe mai in grado di sprigionare un pizzico di gioia».

Dietro la domanda sull’identità del Battista, dunque, si fa strada un’altra richiesta più radicale: «Chi ci potrà salvare? Da noi stessi? Dal nostro individualismo becero, dalla nostra tristezza che ci fa ripiegare, dal nostro malessere che si taglia a fette?»

«La riposta di Giovanni è tersa: “Viene uno che è più forte di me, al quale io non sono degno di sciogliere neppure il legaccio dei sandali”. Non è solo la sua libertà che colpisce, ma la forza di ammettere che non basta quello che lui dice o chiede. Altro è l’Atteso, cui indirizzare lo sguardo. Solo Cristo sarà capace di avere la forza grazie al suo Spirito per “ripulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel granaio”. Ecco il punto. Abbiamo bisogno di Dio per ritrovare la strada giusta e per assaporare la gioia».

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