Sanità, l’on. Melilli scrive ai Sindaci della Provincia di Rieti

Ho seguito nei giorni scorsi il dibattito che si è sviluppato intorno ai destini della sanità della nostra provincia.

Ho evitato di intervenire pubblicamente, aggiungendo la mia voce alle tante che hanno espresso allarme e preoccupazione per quello che sta avvenendo per due ordini di ragioni: la prima perché ho ritenuto opportuno che fosse la Regione a dover chiarire, con gli elementi che sono in suo possesso e che penso possano rasserenare il dibattito e dare certezze alla nostra sanità.

Naturalmente senza che ciò mi impedisse di svolgere nei confronti della stessa il naturale lavoro di pressione e di persuasione della bontà delle nostre ragioni.

La seconda perché in questo tempo, dove la strada più facile per le stesse classi dirigenti sembra essere non la ricerca di soluzioni ma una gara a chi protesta più energicamente, cerco di ricordare a me stesso che alle classi dirigenti è dato il compito di evidenziare le criticità e dare soluzioni e non di soffiare sul fuoco della protesta, anche se questo secondo mestiere sembra essere più pagante in termini di consenso.

Per me sarebbe stato in verità anche facile non essendo tra coloro che governano la Regione, ma il ruolo che svolgo nel mio partito e soprattutto la condivisione dello straordinario percorso di cambiamento che stanno ponendo in essere Nicola Zingaretti, la sua Giunta e la sua maggioranza, mi impedisce di unirmi al coro di chi protesta pensando di lucrare un consenso a breve ed evitando di affrontare le vere questioni che sono in campo.

Così mi permetto di riassumerle, facendo anche uso della memoria, che spesso difetta nelle analisi che ascolto.

La sanità della nostra regione vive una situazione di grave anomalia da quasi un decennio. Il commissariamento, che è derivato dalla situazione debitoria, ha di fatto, attraverso i tecnici dell’Economia, espropriato sovranità alle classi dirigenti della nostra Regione ed ha costretto i manager a misurarsi con una situazione nella quale nulla era rimesso alla loro autonomia, nemmeno la più banale delle assunzioni.

Senza alcun dubbio i volumi di spesa incontrollata ed irrazionale hanno riguardato, non soltanto per dimensione, soprattutto la Capitale e credo che di tutto ciò la Regione non possa non tener conto.

Ci è sembrato chiaro per questo che la prima cosa da fare fosse creare le condizioni per l’uscita dal commissariamento ed il conseguente ritorno alla normalità, che sola può tornare a farci sperare in un miglioramento del diritto alla salute per i nostri cittadini ed in un riequilibrio territoriale che avverto come necessario ed inderogabile.

Lungo la strada dell’uscita dal commissariamento la Regione sta operando con efficacia, insieme ad alcune azioni che hanno dato buoni frutti e che riguardano il riconoscimento ottenuto nei giorni scorsi di quasi 400 milioni di euro per la nuova situazione demografica (riconoscimento che veniva negato al Lazio da troppi anni); la possibilità di rinegoziare il debito (per il quale pagavamo interessi assurdi per le condizioni attuali del mercato) che, con una produttiva azione parlamentare, abbiamo consentito anche alla nostra Regione, con un risparmio di 90 milioni l’anno ed infine lo sblocco di oltre 600 milioni per l’edilizia sanitaria, inspiegabilmente incagliati nelle maglie dell’inefficienza e della lentezza della burocrazia.

Stiamo insomma, forse per la prima volta, lavorando per restituire speranza e futuro agli operatori della sanità e soprattutto agli utenti. Non era stato fatto prima e, come tutte le cose difficili, si sconta qualche contraddizione. Ed è senz’altro una contraddizione aver concentrato soprattutto sulla Capitale gli hub di elaborazione delle analisi con soluzioni che comportano peraltro tempi lunghi ed ingenti spese per
investimenti. E naturalmente lavoreremo per correggere quella scelta. Ma l’obiettivo, per una politica seria, resta quello di tornare a dare dignità alla sanità dei territori del Lazio.

Nel frattempo non ci si può non confrontare con la situazione data. E la situazione data, per quanto ci riguarda, vedeva la chiusura degli ospedali di Magliano ed Amatrice insieme ad altri 22 ospedali del Lazio ed un indebolimento costante soprattutto sul versante delle risorse umane per il de’ Lellis.

In entrambi i casi abbiamo tutti, da subito, lavorato per cercare soluzioni che trovassero il consenso delle comunità locali e mi pare che siamo avviati verso soluzioni di soddisfazione.

Per Amatrice la soluzione “Casa della salute” rischia di non essere funzionale alle esigenze di un territorio così fragile per numero di utenti e sono certo che la Regione saprà individuare la soluzione migliore. Essa peraltro è a portata di mano, perché il Comune aveva trovato un’intesa con la precedente Presidente della Regione (in verità debbo dire con molte perplessità da parte nostra) e quella è una soluzione che secondo me, possiamo migliorare.

Faccio un po’ di fatica a capire il rigurgito secessionista e barricadero (o forse lo capisco benissimo), quando esistono atti della Regione che il Comune ha condiviso e che nessuno smentirà. In quegli atti, condivisi dal Comune, non c’era la salvezza dell’ospedale né la tutela di una zona svantaggiata e mi pare davvero stravagante che qualche politico oggi, dopo tre anni di imbarazzante silenzio, torni a a parlarne.

Solo per esercizio di memoria vorrei anche ricordare che il decreto n. 80 della Presidente on. Polverini, non contemplava posti letto di riabilitazione e prevedeva soltanto come eventuali, alcuni posti letto di RSA. Non è un caso se essi ad oggi non sono stati attivati.

Per Magliano stiamo dando significato e sostanza vera alla casa della salute e stiamo lavorando per vedere quali sinergie si possono mettere in campo con Civitacastellana perché si dia vita in quei territori ad una integrazione vera dei servizi in un area strategica per la nostra provincia.

Per quanto riguarda l’Ospedale di Rieti, come è noto, qualche settimana fa è stato sottoposto ad intesa in Conferenza Stato Regioni, il regolamento che doveva essere emanato da tempo, relativo agli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi dell’assistenza ospedaliera.

Il regolamento fissa, nelle sue tabelle allegate, popolazioni di riferimento per l’ottimale svolgimento delle tipologie di assistenza ospedaliera. Esso è stato elaborato dalla comunità scientifica e credo tutti noi faremmo fatica a contestarne la fondatezza. Il compito spetta agli esperti e credo che nei prossimi mesi esponenti della comunità scientifica non mancheranno di farsi sentire.

È evidente che definire una soglia di popolazione, con riferimento alla quale diventa ottimale la prestazione di un servizio ospedaliero, può creare allarme non solo a Rieti ma in ogni parte d’Italia, visti i bacini di utenza di centinaia di Ospedali Italiani, per la gran parte, escluse le grandi città, dimensionati su soglie demografiche molto simili alle nostre (si guardi ad esempio la vicina Terni, provincia di 230.000 abitanti, dove però in verità non mi pare si stiano registrando allarmi o mobilitazioni contro il Regolamento Lorenzin).

In relazione a quelle dimensioni quantitative è ovvio che le Regioni dovranno modellare il sistema ospedaliero, ma non potranno non tener conto della tipicità delle singole realtà territoriali, pena un grave impoverimento dell’offerta sanitaria nell’intero paese.

D’altronde i modelli organizzativi più avanzati ai quali dobbiamo guardare, offrono soluzioni che consentono di conciliare la debolezza numerica dell’utenza con la opportunità di raggiungere livelli di prestazione adeguati.

E fa bene la Diocesi di Rieti a ricordarci che l’algebra mal si concilia con il diritto alla salute. È per questo che ho voluto attendere il pronunciamento della Regione che qualche giorno fa ha ribadito che nessun servizio di quelli attuali verrà cancellato dall’Ospedale di Rieti ma che anzi ci avviamo ad un potenziamento dell’Ospedale stesso che sappia fare giustizia della grande mole di mobilità passiva.

La dichiarazione molto opportuna del Presidente Zingaretti dovrebbe poter porre fine agli allarmismi ma tutti dovremo vigilare e nessuno abbasserà la guardia affinché i servizi sanitari nella nostra provincia vengano non ridotti ma piuttosto migliorati.

Credo che le nostre rivendicazioni debbano piuttosto concentrarsi sull’ottenimento di un numero congruo di posti letto di lungodegenza e riabilitazione di cui da decenni rivendichiamo il diritto, ponendo fine allo scandalo che vede chi ha bisogno di cure riabilitative, doversi recare nella capitale o nella provincia di Roma, quando le condizioni ambientali fanno della nostra provincia il luogo ideale per cure di tale natura. E dovremo concentrarci sull’obiettivo dell’accreditamento di un numero congruo di posti letto in RSA, senza dover attendere, come nel passato, lunghi anni prima di ottenerlo (a questo proposito l’accreditamento della struttura di Montebuono è un ottimo segnale) e sulla ipotesi, recentemente sostenuta anche dalla Direzione Aziendale, di clinicizzazione di alcuni reparti del de Lellis che sappiano “sprovincializzare” un po’ il nostro ospedale.

La negativa incidenza della mobilità passiva deve infatti essere aggredita con più energia ed è necessario farlo tornando a credere nelle potenzialità del nostro ospedale, anche se ciò dovesse comportare la diminuzione di qualche rendita di posizione o la marginalizzazione di qualche desiderio di chiusura dei confini, rischio che pure ogni tanto corriamo.

Mi pare a questo proposito difficile non affrontare con coraggio il tema del cambiamento di un modello organizzativo ospedaliero che risale a quaranta anni fa. Non possiamo dimenticare inoltre che la particolare orografia del nostro territorio fa di esso il luogo che, più di ogni altro, ha bisogno del potenziamento della medicina territoriale.

Tutto questo ci siamo impegnati a difendere e le energie che profonderemo saranno rivolte a far recuperare alla nostra provincia un gap durato decenni, ricordando però sempre che se non si esce dal commissariamento, nessun manager potrà assumere responsabilità e dare risposte all’altezza di quello che legittimamente si attende la comunità provinciale.

Il prossimo atto aziendale a cui la dottoressa Figorilli sta molto opportunamente lavorando e le scelte che la Regione compirà da qui a dicembre saranno inevitabilmente il banco di prova di tutto ciò. Ben vengano quindi le mobilitazioni e la sensibilizzazione degli operatori se esse sono rivolte alla salvaguardia del diritto alla salute delle nostre comunità e non alla difesa di rendite di posizione.

Per quanto mi riguarda non potrò che essere al loro e al vostro fianco non senza contestare le affermazioni di chi, attraverso un vittimismo di maniera e con preoccupanti vuoti di memoria, pensa di recuperare un po’ di credibilità perduta.

Sono certo che i cittadini sapranno distinguere le strumentalizzazioni dalle sacrosante rivendicazioni e credo che i Sindaci faranno prevalere queste ultime, insieme alle ragioni dell’unità e della difesa del nostro territorio.