L’ingrato compito. È morto il recensore dell’ultimo libro edito dalla Giunta Emili

Cara «Frontiera», ho l’ingrato compito di comunicarti l’avvenuto decesso dell’amico Giorgio Di Fazi, membro della Protogoliardica Accademia Cortonese, col grado di Ambasciatore del dodeca-lucumone.

Come certo saprai, egli manteneva un buon legame con la terra Sabina, nella quale tuttora vive la sua scorbutica ex amante. La poverina, alla notizia della morte in duello del povero Giorgio, ha preso a ceffoni la cassiera della Coop che si ostinava a negarle i centesimi di resto.

In qualità di Ufficiale grafologo e vice-conferenziere dell’Accademia, desidero rassicurare il vostro Milli. Il caro Di Fazi non provava alcun astio personale nei suoi confronti. Anzi, stimandolo, si era chiesto come mai il suo ultimo libro fosse zavorrato da refusi tipografici, anacoluti inspiegabili e curiose architetture para-tattico-grammaticali.

Non riusciva a spiegarsi perché, all’interno di un libretto di 84 pagine effettive, comprensive di 34 illustrazioni fuori testo, ce ne dovessero essere 28 (ventotto) allogene. Fra l’altro, di qualità inferiore a quelle scritte dal Milli medesimo. Col suo noto acume matematico, Giorgio aveva osservato: «Metà libro non è farina del suo sacco».

Poi, col solito umorismo da buttero maremmano, aveva detto scherzando: «Di codesto libro non intendo una mazza, oh che me mi sia rimbambito, governo ladro?». E con gran puntiglio si era garbatamente messo a compilare l’indice dei nomi citati nel libretto. Si stancò verso i 541 (cinquecentoquarantuno), e ridendo disse: «Più di sette citazioni per pagina, e se si tien conto delle foto, s’arriva a dieci, per tutte le bufale chianine!».

In breve si può dire che alcuni aspetti del libro lo lasciavano perplesso, e tuttavia, sotto sotto, ammirava, nel vostro Milli, lo stile epifanico, i neologismi arditi, l’arte di farsi perdonare ogni sgangherata offesa alla grammatica. Una volta l’ho sentito mormorare: «brigantone d’un aironaccio, ma come fa, che a me non me ne lascian cadere una?».

Dunque, cara «Frontiera», forse Di Fazi una punta di affettuosa invidia per il vostro Milli ce l’aveva davvero. Posso dire, però, che più vera, profonda invidia, accidia e lussuria provava per altri personaggi reatini: Leoncini, ad esempio, bravo amministratore e come lui appassionato di velocipedi. Si era anche invaghito di un tal Buttarbelli, che mi descrisse come fulminante poeta neo-immanentista.

Uno sconsiderato affetto nutriva, poi, per un certo L. Brucoletti (o Bruchetti?), suo lontanissimo parente, che scherzosamente chiamava «quel bischero di un erudito di provincia». Di costui invidiava la capacità di finanziarsi di tasca propria, senza scomodare editori inappropriati come il Comune o altri floridi enti. A proposito: io non so se il Comune di Rieti abbia debiti, immagino di no, fammi sapere tu. Altro non saprei dirti, per ora, ma se dovessi trovare qualcosa di interessante fra le sudate carte del povero Giorgio, ti terrei subito informata.

Distinti saluti.