Rivoluzione gentile

Una rivoluzione gentile anche per la stampa

Si può pensare che la sollecitazione a una “Rivoluzione gentile” auspicata dal vescovo per il nostro territorio sia soprattutto un pungolo per le diverse funzioni istituzionali. In realtà il discorso è più ampio e coinvolge tutti, cittadini e classe dirigente. Compresi quanti sono impegnati nei media, nell’informazione e nella comunicazione

Anche prima della “Rivoluzione gentile”, i giornali hanno parlato spesso e volentieri delle bellezze e delle potenzialità del territorio, senza dimenticare i problemi e i nodi da sciogliere. E le diverse testate hanno sempre richiamato con forza le istituzioni al loro compito, anche tirando in ballo il sentimento popolare, la percezione comune di soluzioni a portata di mano, eppure mai realizzate. Tante volte il dito è stato puntato sulle infrastrutture, sui cammini di fede, sulle bellezze storiche, sulle risorse naturali. La denuncia del potenziale inespresso del nostro saper fare oscilla in molti campi: dall’alimentare all’artigianato, dal turismo all’elettronica. Qualcosa si è smosso, ma molti temi restano al palo.

Non per colpa della stampa, ovviamente: giornalisti non tappano buche, né fanno impresa. Il loro compito è quello di stare ai fatti, di orientare tra le diverse opinioni, di aiutare i lettori a non perdere il filo. Ma la sola enumerazione di quel che accade non basta.

Nella sua breve introduzione all’incontro con gli operatori della comunicazione, mons Pompili ha indicato una possibile debolezza del panorama informativo locale. L’impressione è che «anche da noi la comunicazione esprima talora uno scarso senso dell’appartenenza a questo territorio, che si vive sempre a distanza e con riserva, con una certa aura di sufficienza che si riflette nella scarsa passione con cui si affrontano le questioni irrisolte». Come a dire che i punti chiave – le strade, ad esempio – affiorano puntualmente sulle pagine solo se trascinate dall’esterno, dal farsi avanti di alcuni momenti caldi o rilevanti. Ma “stare sul pezzo” è tenere vivo il discorso, sollecitare l’opinione pubblica al di là della notizia, non lasciarsi dettare l’agenda. Senza pedanteria, ovviamente, e senza lasciarsi contagiare dallo scetticismo di chi crede che l’unica realtà possibile è quella che si vede.

«Intorno all’identità spesso prevale un atavico senso campanilistico che non è l’identità che ha che fare con il recupero più profondo delle coordinate storico-culturali che restano sommerse», ha poi avvertito il vescovo. Il riferimento alle radici del territorio non è raro, ma suona spesso stanco e di maniera. Si resta sulla superficie, alla citazione, al cimelio, senza mai rielaborare, né vedere se dalle cose di ieri si può ricavare qualcosa di utile per costruire la città di domani. E il campanile diviene quasi un ceppo al quale si sta legati per non muoversi piuttosto che il punto di osservazione più alto, dal quale cogliere l’orizzonte più grande in cui si è immersi. Un vizio che la stampa non dovrebbe rispecchiare, ma aiutare a superare.

Insieme ad altre due tare caratteriali del nostro territorio: «l’istintiva apertura di credito all’esterno, ma anche la chiusura concreta a chi non è come noi». La prima si coglie facilmente nella vita intellettuale. Quando nomi di rilievo capitano sul nostro territorio, lo spazio concesso sui giornali è giustamente ampio, e anche facile, grazie a comunicati e uffici stampa. I talenti locali, le tante iniziative indipendenti e anche di qualità promosse sul territorio, invece, sono tuttalpiù annunciate, ma raramente vengono seguite e sostenute. Eppure i primi semplicemente passano, le seconde restano. Ed è curioso che l’atteggiamento è all’inverso quando si parla di accogliere nuove energie umane. Perché «così manca quel ‘quid’ che fa aprire nuove pagine come accadde quando a Rieti vennero per lavoro tante famiglie provenienti dal Nord d’Italia».

La sfida della “Rivoluzione gentile”, insomma, non è aperta solo alle istituzioni pubbliche. Anche la stampa può aiutare a cambiare passo e visione, contribuire a creare il clima giusto. Che poi vorrebbe dire tornare a concepire i giornali più come luoghi di idee e dibattiti che come bollettini che ribattono dichiarazioni e comunicati precotti. O che semplicemente decretano l’evidente, pubblicando immagini di rifiuti a bordo strada. In fondo basterebbe un ritorno all’orgoglio del proprio compito e del proprio lavoro, fatto bene.