Corpus Domini 2022

Una comunità che si ritrova intorno al Santissimo

È tornata per le vie del centro storico la processione per la solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, con in capo il vescovo Domenico e i tradizionali tappeti di fiori sul percorso

L’Eucaristia come segno che trasforma il nostro sguardo su mondo, una «palestra di vita» che rovescia la prospettiva dei problemi e della loro soluzione. È la lezione che si ricava dall’episodio evangelico dei pani e dei pesci, che ha risuonato nelle chiese nella solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo. A Rieti, in Santa Maria, è stato il vescovo Domenico ad accompagnare i fedeli al cuore del «miracolo più strepitoso» di Gesù, prima di condurre l’ostensorio con l’Ostia consacrata nelle vie del centro, dopo i due anni di interruzione causati dalla pandemia.

E i tanti che si sono recati in Cattedrale per ritrovarsi attorno al Santissimo Sacramento, sono stati quasi un’immagine viva della folla che si era radunata per ascoltare il Maestro. Nella pagina di Luca i dodici lo invitano a congedare la folla perché lasci quella zona deserta in cerca di cibo e alloggio nei villaggi vicini. «Ma Gesù – ha ricordato mons Pompili – non abbandona la gente al suo destino». Con il loro miope buon senso i discepoli non avevano capito che «Egli è venuto per sfamare l’umanità e non la pianta in asso proprio nel momento in cui prova i morsi della fame».

Il deserto della narrazione, infatti, «non è solo esteriore, ma è anche interiore». E in fondo rassomiglia a quello che caratterizza l’umanità di oggi, quella dell’«uomo di sabbia», cioè «privo di radici, isolato e incapace di andare avanti se non con una grande stanchezza, che ha chiuso la sua vita alla dimensione spirituale, non soltanto perché ne ha perso il piacere, ma perché crede di non averne più bisogno e addirittura vede in questa rescissione del legame spirituale quasi un progresso, la giusta fine di un’illusione se non di un grande inganno».

È il paradosso del nostro tempo: in Occidente non c’è mai stato tanto benessere, eppure sembriamo privi di soffio vitale. Viviamo più a lungo, ma con meno intensità. E se a volte ci sentiamo quasi soffocare è perché «senza la dimensione spirituale la nostra vita diventa una fatica, un’incombenza pesante». A prendere il sopravvento sono l’«inquietudine e una ricerca spossante, senza capo né coda», il tempo diventa «una corsa frenetica», ma inconcludente e la vecchiaia «la peggiore delle ingiustizie, che sembra preludere allo sgomento più terribile che è la fine».

È questa fame di senso che Gesù è venuto a sfamare. E lo fa innanzitutto ricordandoci che già da sempre abbiamo presso di noi tutto il necessario. Infatti risponde ai discepoli preoccupati: voi stessi date loro da mangiare. «Il maestro, cioè, pensa che non siano gli altri a dover risolvere il problema, ma che ciascuno deve metterci di suo quel poco che ha, anzi, quel poco che è: quei cinque pani e due pesci che in realtà sono alla portata di ciascuno di noi. Gesù non crede alla forza del denaro che manda l’acqua all’insù, crede invece che i problemi possano essere risolti soltanto insieme».

È qui il cuore della narrazione evangelica: «Il miracolo del Maestro non sta tanto nel moltiplicare, ma piuttosto nel dividere, anzi nel condividere». È un miracolo spirituale proprio perché contraddice il nostro istinto e il nostro buon senso. Ed è per questo che l’Eucarestia domenicale è una grande palestra di vita: «Ci fa ritrovare, mentre ci raduniamo tutti insieme, questo sguardo che non è più centrato sull’accumulo e sulla competizione che caratterizzano la settimana, dal lunedì al sabato». Alla domenica, l’Eucaristia ci fa ritrovare un altro sguardo, «capace come quello di Gesù, di alzare gli occhi al cielo, di lodare, di ringraziare, di spezzare e perciò di dividere».

Non è strano, dunque, che al «rarefarsi della comunità eucaristica» coincida il «venir meno del senso della comunità, che spesso è del tutto smarrito». Solo Dio, infatti ci sfama e ci disseta, e per questo il Maestro ci ha lasciato l’Eucaristia come segno di identità. «Come abbiamo ascoltato per bocca dell’apostolo – ha concluso il vescovo – per ben due volte Gesù dice, “Fate questo in memoria di me”. È questo fare in sua memoria che sfama il mondo, che ha fame di pane e di vita e che chiama in causa tutti, nessuno escluso».