Sotto una pioggia minuta, un corteo illuminato da candele si è mosso lentamente dal Centro pastorale di Contigliano verso il cavalcavia della superstrada per Terni. È il luogo dove una settimana fa la violenza ha interrotto la vita di Raffaele Marianella, autista del pullman del Pistoia Basket, colpito durante l’assalto di un gruppo di ultras reatini. Lì, dove la strada porta ancora il segno del dramma, ieri sera centinaia di persone hanno scelto di tornare: non per giudicare, ma per comprendere.
La fiaccolata silenziosa, voluta dalla diocesi di Rieti e guidata dal vescovo Vito Piccinonna, ha raccolto famiglie, giovani, rappresentanti delle istituzioni, del mondo sportivo e delle associazioni. Ai lati della strada, le fiaccole contrappuntavano i passi con una linea di luce tremolante. Nessuno slogan, nessun applauso: solo il rumore dei passi e il respiro collettivo di una comunità che si scopre ferita.
Prima del cammino, il vicario generale don Casimiro Panek aveva invitato a fare spazio al silenzio come luogo di senso: «Ci sono eventi nella vita di una comunità che segnano un prima e un dopo» ha detto. «Sono eventi carichi di dolore che non possiamo lasciare sprofondare nel baratro dell’assurdo, ma che dobbiamo trasformare in un volano per un salto di qualità. Il silenzio è il padre del senso. Solo nel silenzio possiamo ritrovare una luce per il dopo 19 ottobre».
Quando il corteo è giunto sotto il cavalcavia, il vescovo ha preso la parola per una preghiera che ha dato voce a quel dolore collettivo, restituendo umanità alla notte e alla ferita ancora aperta. «Padre ti chiedo di farti sentire, soprattutto in questo momento di dolore, di notte. Sii Padre che accoglie nella tua luce senza tramonto l’anima di Raffaele, ucciso mentre faceva il suo lavoro». E ancora «Sii Padre di luce, di verità e di misericordia anche per quanti confondono i valori dello sport con l’inganno della violenza, per coloro che non hanno capito che la vita è dono prezioso e impareggiabile e che ogni cosa al suo confronto è nulla».
Poi le parole si sono allargate a un orizzonte più ampio, a un’invocazione che ha toccato le radici stesse del vivere civile: «Sii Padre paziente con la nostra umanità, spesso superficiale, distratta, rabbiosa, mediocre, che non sa vedere il disagio dietro le apparenze», «Fa’ che nessuno di noi alzi più la mano contro suo fratello, mai più la violenza di ogni tipo, quella che uccide ma anche quella che non uccide ma ferisce e fa male comunque e che spesso usiamo nello sguardo, in ciò che diciamo, in ciò che scriviamo e prima ancora nel cuore».
Il vescovo ha ricordato che la morte di Raffaele Marianella non può restare solo un fatto di cronaca, ma chiede una conversione personale e comunitaria: «Fa’ che non voltiamo subito pagina per tornare a pensare ad altro, in nome di una falsa tranquillità che ci tiene inerti e disimpegnati verso gli altri, verso i nostri territori, verso la cosa pubblica, verso i più fragili, verso il futuro».
E infine, una preghiera per la città e per i giovani: «Non permettere che trasformiamo questo spazio bello che ci doni di abitare, la Valle santa, in un deserto. Non sia mai! Donaci la virtù della mitezza perché nella partita della vita vince solo chi ama di più, non altri! Donaci di guardare e ascoltare soprattutto nel volto dei bimbi e dei ragazzi lo smarrimento che i nostri gesti producono. Ti chiediamo perdono Signore se li stiamo illudendo e deludendo…».
Nel silenzio che ha seguito la preghiera, le fiaccole hanno tremato come un respiro. È stato il momento in cui la comunità, ancora incredula, ha percepito che la risposta non è nell’odio né nella rassegnazione, ma nella capacità di restare umani.
Quando il corteo è tornato verso il centro pastorale, in quel silenzio condiviso, è sembrato di poter sentire qualcosa nascere – una domanda che non si spegne, una ricerca di senso che continua a camminare.

