C’è un momento, nella Settimana Santa, in cui la Chiesa si guarda allo specchio. Non per contemplarsi, ma per riconoscere la propria forma nel riflesso del Vangelo. È la Messa Crismale, celebrata nella Cattedrale di Rieti nel tardo pomeriggio del Mercoledì Santo, come una soglia tra il tempo quaresimale e i giorni centrali del Triduo Pasquale. È una liturgia densa, nella quale l’unità della Chiesa si rende visibile attorno al vescovo, con i presbiteri, i diaconi, i consacrati, i laici, in un solo popolo convocato. Ma è anche una celebrazione dell’olio – dell’unzione, della missione, della cura. E quest’anno più che mai, ha avuto il profumo forte e dolce della pace, evocata sin dalla dedica fatta all’associazione Rondine e alla sua opera educativa contro la guerra, conosciuta dalle testimonianze incontrate durante il pellegrinaggio giubilare.
Un popolo convocato
La celebrazione ha preso avvio con una breve processione uscita dagli archi del Palazzo Papale e rientrata dalla porta principale della Cattedrale. Un gesto simbolico, ma potente: il vescovo e i presbiteri hanno attraversato lo spazio della città per raggiungere l’assemblea in attesa, segno tangibile di un’uscita che cerca incontro e unità. Nella monizione iniziale, mons. Vito Piccinonna ha ricordato il significato profondo di questa liturgia che «manifesta la Chiesa tutta corpo di Cristo», sottolineando il legame tra l’unzione del crisma e la consacrazione dell’intero popolo di Dio.
La gioia, sconosciuta e necessaria
Nel cuore della celebrazione, l’omelia del vescovo ha tenuto insieme la densità teologica e il respiro pastorale, cucendo la liturgia al tempo che viviamo. «La gioia è la grande sconosciuta dei nostri tempi», ha detto, evocando le parole di Paolo VI nella Gaudete in Domino, e misurando la distanza tra il Vangelo della gioia e la tristezza operosa, la mediocrità silenziosa, che talvolta attraversa anche la vita ecclesiale. Non si trattava di un’esortazione generica, ma di un richiamo radicale all’identità di ogni battezzato e in particolare dei sacerdoti, che ha definito “ministri della gioia”.
Nel suo stile diretto e affettuoso, il vescovo ha invitato i presbiteri a fare memoria delle origini del proprio cammino vocazionale, di quella «gioia ricevuta» che resta fondamento del ministero, anche quando la quotidianità diventa prova. Ha citato papa Francesco, descrivendo il sacerdote come il più piccolo degli uomini in confronto alla grandezza del dono del ministero, «il più povero se Gesù non lo chiama amico», e ha ripetuto con forza: «Il contrario della gioia non è la tristezza, ma la mediocrità».
Rinnovare le promesse, ricevere l’unzione
Uno dei momenti più solenni è stato il rinnovo delle promesse sacerdotali. I presbiteri, rispondendo all’appello del vescovo, hanno riaffermato l’impegno a seguire Cristo nel servizio alla Chiesa e al popolo. Poi, come ogni anno, si è svolta la benedizione degli oli: quello degli infermi, quello dei catecumeni, e il santo crisma, preparato con l’aggiunta del profumo e benedetto con l’antico gesto del soffio. Il crisma, ha detto il vescovo, è “olio di esultanza”, capace di restituire splendore ai volti, di fasciare i cuori affranti, di accompagnare ogni passaggio della vita cristiana.
Non è un gesto riservato ai ministri ordinati. Mons. Vito ha ricordato che tutti i fedeli, attraverso battesimo e confermazione, ricevono quell’unzione e sono inviati ad essere “profumo di Cristo” nel mondo. L’invito ai laici è stato chiaro: non subalterni, ma corresponsabili, chiamati a portare la luce del Vangelo là dove vivono e lavorano, nei luoghi della fragilità e della speranza.
Una liturgia per il tempo che viviamo
La celebrazione, scandita dai canti e animata con sobrietà e cura, non ha tralasciato il ricordo dei sacerdoti defunti e si è chiusa con parole che proiettano lo sguardo oltre. Il vescovo ha ringraziato i presbiteri uno per uno, con particolare attenzione a chi celebra l’anniversario dell’ordinazione sacerdotale: don Sante Gatti e don Luigi Dalla Costa (50 anni), don Luigi Aquilini (70 anni). Un augurio anche a don Roberto D’Ammando, che proprio questo Mercoledì Santo taglia il traguardo dei 20 anni di Messa. Don Vito ha poi invitato a vivere con intensità il Triduo Pasquale e ha preannunciato la celebrazione dell’ottavo centenario della Cattedrale, che il prossimo 9 settembre – ricorrenza della Dedicazone – vedrà la presenza del cardinale Segretario di Stato della Santa Sede Pietro Parolin.
Con un gesto semplice, ha poi chiesto ai presbiteri e ai diaconi di portare con venerazione gli oli santi nelle loro comunità, come segno vivo del legame con la Chiesa madre. È un gesto antico e sempre nuovo, come la liturgia stessa: segno che la fede non si conserva in un contenitore chiuso, ma si distribuisce, si condivide, si versa.
L’attesa che resta
Nel cammino della Settimana Santa, la Messa Crismale ha il sapore dell’olio e della speranza. Come aveva ricordato don Vito nella celebrazione che ha presieduto all’Hospice San Francesco, questo è un tempo che termina con il Sabato Santo, quando tutto sembra spento, ma resta viva la speranza custodita da Maria. È un’immagine che non ha bisogno di enfasi: basta lasciarla lavorare dentro, come il crisma sulla pelle.
Restano ora gli appuntamenti del Triduo: la Messa in Coena Domini nella Casa Circondariale, le celebrazioni della Passione, la doppia Via Crucis (ad Accumoli e nel centro storico di Rieti), la Veglia nella Notte Santa, la Pasqua di Risurrezione. Tutto un tempo per lasciarsi sorprendere dalla gioia, che – come ha detto il vescovo – non è frutto di strategie, ma dono da accogliere. Perché «la gioia del Signore è la nostra forza», e forse, in un tempo stanco come il nostro, non c’è forza più sovversiva di questa.