Chiesa di Rieti

Un amore che è più forte della morte

«Un amore che è più forte della morte. Questo è il messaggio di speranza che ci viene dalla Pasqua di Gesù»: intense e partecipate le celebrazioni pasquali presiedute dal vescovo Vito

Un amore che è più forte della morte. Questo è il messaggio di speranza che ci viene dalla Pasqua di Gesù. Chiediamo al Signore il dono di un cuore rinnovato, per amare ancora di più e uscire dal buio che talvolta avvolge le nostre vite». Salutando quanti si sono ritrovati ad Amatrice per partecipare alla celebrazione eucaristica della mattina di Pasqua, il vescovo Vito ha guardato al cuore della veglia vissuta poche ore prima, nella notte, in Cattedrale. Gesù e il suo amore sono la luce che illuminano il mondo, che rischiarano il cammino dell’uomo dall’inizio dei tempi. Non a caso le letture della veglia partono dalla Genesi: la prima opera della creazione è stata proprio la luce. La stessa che il cero pasquale simbolicamente ha diffuso per contagio, di fiammella in fiammella, di persona in persona, come simbolo del Cristo risorto e presente in mezzo agli uomini. E sempre luce era quella del fuoco acceso fuori Santa Maria, che ha rischiarato la notte del sabato accompagnando al compimento l’attesa iniziata con il Giovedì Santo. Un’unica lunga veglia che attraversando la croce e il buio del sepolcro del Venerdì si è sciolta in gioia nel suono delle campane, nel canto del diacono che dall’ambone invitava ad esultare per la risurrezione, ad accogliere ciò che l’amore del Signore compie nella vita di ciascuno di noi.

Ma ogni passo della Settimana Santa ci ha ricordato che l’amore di Dio non è scontato, a buon mercato. E più volte don Vito ha invitato ciascuno a misurare il buio che attraversa il mondo e le nostre vite. «È Pasqua davvero – ha chiesto don Vito ai fedeli in Cattedrale – oppure siamo ancora alla domanda del libro del profeta Isaia: Sentinella, quanto resta della notte? Sappiamo che viene il mattino, eppure non ci sembra vero che possa essere così. E allora mi chiedo con voi, è una fiction la vita o questa bella liturgia? Come dovrebbe stare un cristiano nel mondo? Mi pare di poter dire: alla maniera della sentinella, che conosce la notte, ci deve stare, ma non sprofonda in essa. Piedi a terra, ma occhi puntati in alto, oltre». Un atteggiamento che vede nelle donne che seguono Gesù un modello, perché non si lasciano fiaccare dal buio, la morte non impedisce loro di tenergli dietro, in punta di piedi, senza occupare troppo la scena. «Sentiamole come compagne di viaggio – ha detto il vescovo – perché con tutta la buona volontà la notte è troppo buia anche per loro: deve venire un angelo, Dio stesso, a scoperchiare il buio e la notte; viene la luce stessa a illuminare e dominare sedendosi sulla pietra tombale. Solo Lui può farlo, ma con Lui, anche noi».

«Il Signore è veramente risorto: questo è l’annuncio splendido che da 2000 anni, a dispetto di ogni morte, di ogni dolore, di ogni tradimento, percorre e deve percorrere la nostra vita, le nostre esistenze», ha ribadito poche ore dopo mons. Piccinonna a Amatrice. «Abbiamo bisogno di nutrire le nostre vite di “questa” speranza, non delle “nostre” speranze, che sono parziali, limitate, che non riescono a vedere fino a domani o al massimo intravedono il dopodomani». Senza l’ingenuità di credere si tratti di una speranza facile, quasi la fede fosse una forma di rassegnazione. No, essa è una consolazione, nel senso che non lascia soli, non ci toglie le lacrime, ma le supera, le oltrepassa, le illumina di un significato nuovo.

Ma al cuore di tutto resta la fede. Solo la fede davvero ci muove, ci commuove nel profondo. È la fede la domanda di fondo. Don Vito l’ha ricordata anche in Santa Maria, presiedendo la Messa di Pasqua alle 18, sollecitando ciascuno a misurare in sé stesso se davvero Gesù risorto ci scuote dalla rassegnazione al male e alla morte, o se siamo cristiani assuefatti e impigriti. Capirlo non è difficile. Cristo è morto non per salvare sé stesso, ma per salvare gli altri. Questo è il modello al quale aderire: «L’impegno di tutti quanti noi è a camminare su strade di comunione, su strade di unità, su strade che si aprono alla fiducia». Il vescovo ha richiamato la bella immagine di Pietro e Giovanni che corrono insieme verso il sepolcro: «Da soli ci si disperde, il Vangelo ci richiama a un forte sentimento di coesione, a un camminare insieme perché da soli ci perdiamo. Sì, Dio viene a consolarci, ma vuole anche che i nostri cammini siano più unitari». E l’immagine dei discepoli, uno più anziano, l’altro giovane, dice di un legame da cercare anche tra le generazioni, con un’attenzione speciale ai più piccoli come motore della storia. «Gli occhi di questi piccoli non ci devono dar tregua. Sono un richiamo a vivere e a costruire realmente speranza, adesso non domani». E forse è in questo senso del servizio la chiave da cercare: dall’incontro con gli altri si ricava l’incontro con Gesù, che è portare gioia ai fratelli, percorrere insieme il cammino che conduce alla Pasqua.