Servire è regnare, e regnare è servire

Cattedrale di Santa Maria (Rieti): omelia del Vescovo di Rieti, Mons. Delio Lucarelli, in occasione della celebrazione di chiusura dell’Anno Eucaristico Diocesano 2012.

Carissimi fratelli e sorelle,
consentitemi di rivolgere un cordiale saluto al confratello Vescovo S.E. Mons. Lorenzo Chiarinelli, alle Autorità (civili e militari) presenti, ai sacerdoti, ai diaconi, ai religiosi e a quanti hanno sentito il richiamo dello spirito a partecipare a questa celebrazione che chiude il nostro Anno Eucaristico e il Congresso Eucaristico diocesano, che ci ha molto impegnati in questo ultimo tratto del nostro percorso.

Una porta sembra chiudersi, quella del Congresso, ma una sempre ben impegnativa ci si apre dinanzi, quella dell’Anno della Fede che stiamo già vivendo e che è per tutta la Chiesa.

La giornata di oggi conclude l’anno liturgico, infatti domenica prossima sarà la prima di Avvento, e ci presenta, vorrei dire quasi con un’ espressione ampollosa, la regalità di Cristo Re.

Abbiamo ascoltato nel Vangelo che Gesù conferma di essere Re, alla domanda del suo interlocutore, ma non Re di questo mondo. La sua non è una forza politica che si contrappone a quella di Roma, dell’Imperatore, o a quella di Pilato, neppure a quella dei sacerdoti; la sua regalità non è alternativa a quella politica, di allora o di oggi.

Il suo regno non è di quaggiù, ma non vuol dire che non sia necessario per gli uomini già da questa nostra esperienza terrena: non è un regno da confinare nel futuro escatologico, di cui per ora è meglio fare a meno.

Esso è prefigurato dalle visioni di Daniele, che abbiamo potuto apprezzare nella prima lettura: il suo è un regno eterno, che non ha fine; i regni degli uomini e il potere degli uomini, anche nella Chiesa, hanno una fine e un compimento, spesso anche meschino, come abbiamo potuto vedere negli ultimi tempi, ma il regno di Cristo è un regno che non si fonda sui criteri tipicamente umani del potere in senso politico e sociale.

Questo re che ci ama e che ci ha liberati dai peccati con il suo sangue, è un re pacifico, come dice il testo dell’Apocalisse, e il cui potere si fonda sulla capacità e la volontà degli uomini di ogni tempo di accoglierlo e di propagarlo.

Possiamo accogliere e propagare il regno di Cristo, dunque, solo imitando Lui che si è fatto servo: quindi servire è regnare e regnare è servire.

Nella riflessione sull’Eucaristia, che abbiamo compiuto nel corso dell’Anno, abbiamo potuto vedere che essa si presenta come atto supremo di una donazione totale di amore e di servizio; d’altra parte il trono di Cristo è la croce e la sua è una corona di spine, il suo scettro una semplice canna, la sua veste un manto scarlatto.
La sua presenza tra noi un dischetto di umile Pane e di Vino.

Ecco le coordinate della regalità cristiana: un servizio umile e dirompente allo stesso tempo.

Proprio l’esame di quanto accade tra noi ci fa cogliere ancor più l’esigenza dell’Eucaristia, come sacramento del dono, ma anche dell’intelligenza, cioè della capacità di entrare dentro le cose, oltre l’apparenza.

Al di là dell’aspetto teologico-sacramentale che per noi credenti è irrinunciabile, essa ci offre numerosi spunti per comprendere la nostra realtà, perché ci fa andare oltre.
Quest’anno l’abbiamo fatto ricollegandoci agli àmbiti del Convegno ecclesiale di Verona: affettività, lavoro e festa, fragilità, tradizione e cittadinanza. Abbiamo potuto vedere che essa ha a che fare non solo con la fede, ma anche con la vita. Anzi è fede che diventa vita!

In questo senso ci dice che sempre la fede deve diventare vita vissuta: vale per noi sacerdoti, per i lavoratori, per i politici, per tutti. Se l’Eucaristia anima la vita in ogni suo aspetto e ci aiuta a decifrarlo, cioè a leggerlo fin dentro le pieghe più delicate, anche la fede deve farci acquisire una più profonda conoscenza e sapienza delle cose, in campo religioso e sociale.

Per questo desidero che l’Anno della Fede che ci apprestiamo a vivere con impegno, sia l’anno dell’approfondimento del Battesimo, col quale noi abbiamo ricevuto il dono della fede. È ciò che ho voluto fare con la mia ultima lettera pastorale che sarà in distribuzione al termine della celebrazione e che si intitola “Alle Querce di Mamre”.

Ho proposto un progetto pastorale che si articolerà in sette anni, per ognuno dei sacramenti, a cui si dovrà associare un dono dello Spirito.
Vi invito a leggerlo; non voglio costringere nessuno, neppure chi mi succederà nel servizio episcopale qui a Rieti, quando dovrà avvenire, ma sento di lasciarlo come dono, più che come oneroso impegno.

Dunque la fede ci è dischiusa con il Battesimo, di cui abbiamo fatto memoria all’inizio della Messa, nel quale siamo immersi nella morte e nella risurrezione di Cristo, vale a dire nel suo grande dono all’umanità, nel suo servizio in ragione del quale è Re.

Anche il Battesimo, come l’Eucaristia, è sacramento dell’umiltà e della semplicità; con esso veniamo avviati ad un servizio non solo nella Chiesa, ma per la società.

È il primo passo di questo servizio che ci fa regnare, che ci fa gioire, proprio perché credere è impegnativo e faticoso, ma se non dà gioia ed entusiasmo non fa bene a nessuno.

La fede può avere momenti di sconforto e di buio, come avviene per molti altri aspetti della vita, ma essa è gioia, impegno, forza, vitalità, novità. Molti si chiederanno, allora, perché tanti cristiani non sono così gioiosi dopo la loro immersione nelle acque del Battesimo, perché non sono così vitali. Non è facile spiegarcelo, ma potremmo dire che è come quando ci si immerge in fondo al mare e si resta in apnea; finché non si torna su è come se ci si fosse eclissati dal mondo. Soltanto quando si torna a vedere il cielo, si possono cogliere le numerose implicazioni della storia e della vita con una sapienza nuova.

Fratelli e sorelle,
in questo anno della Fede, dobbiamo riemergere dal fondo, dall’apnea che ci ha tenuto in silenzio e che tiene molti in silenzio, per dire la nostra fede con uno spirito ed un entusiasmo rinnovati.

Sarà un passo ulteriore, per stabilire nel mondo di oggi il regno di Cristo, che è «regno eterno e universale:  «regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace», secondo le parole del Prefazio che pronuncerò tra poco.

Se servire è regnare e regnare è servire, allora la nostra fede deve diventare opera di verità, di vita, di santità, di grazia, di giustizia, di amore e di pace.

Solo così regnerà Cristo e noi con Lui.