Cari studenti, l’occupazione delle scuole che avete messo in corsa si lascia guardare con un certo piacere. Sembrate protagonisti di un ammirevole scatto di orgoglio. Problemi ce ne sono tanti e vi siete messi a sottolinearli, anche se il metodo non è proprio originale.
Però, il fenomeno sembra allargarsi più per imitazione che per consapevolezza. Ogni situazione ha le sue disfunzioni, i suoi punti deboli, le sue storture, è vero. Ma tra di voi non è piccolo il numero di chi semplicemente s’accontenta di saltare qualche giorno di lezione.
Non importa: avete comunque offerto un sussulto di vitalità ad una città impaurita, rassegnata, dimessa come un pugile suonato.
Parlate di cose concrete: della riqualificazione dell’esistente, di nuova edilizia scolastica, del malcontento verso qualche preside, del giusto rifiuto dell’odioso “finanziamento volontario”. Avete lamentele per palestre, computer, lavagne elettroniche e burocrazia.
Alla fine ne risulta un polpettone, lo capite. Ma non è colpa vostra. È piuttosto il risultato di una deriva, di una lunga disattenzione generale. Sulla scuola ci sono chiacchiere a non finire, ma nei fatti è relegata ad una dimensione residuale: dallo Stato, dalle famiglie, e forse anche da voi. La vostra protesta sembra quasi l’inserzione per una casa che non volete più abitare.
Fosse così non avreste torto: serve a poco essere protagonisti in un’istituzione che conta sempre meno. La scuola arranca, è povera, afflitta, depressa. I suoi edifici sono spesso freddi, inadeguati, insicuri. E molti insegnanti sono frustrati, delusi, assenti. Ma anche voi alunni sapete essere distratti, capricciosi e scurrili. E mediamente studiate poco.
Vi sembreranno sottolineature fuori luogo, ma di assemblee come le vostre negli anni se ne son viste tante. Di male hanno sempre avuto una scarsa capacità critica e la totale assenza di autocritica.
L’uso delle palestre, l’edilizia e le altre rivendicazioni sono cose importanti, ma sarebbe altrettanto interessante vedervi discutere su cosa sia la scuola e quali siano i suoi scopi. Sarebbe bello se sollevaste un dibattito su come l’abitate, su cosa ci fate al suo interno.
Ha a che fare con i vostri bisogni, corrisponde ai vostri desideri, o la frequentate per abitudine, per dovere sociale, per una sorta di burocratica convenienza?
Da tempo i Governi cercano di farne il luogo in cui vengono trasmesse informazioni e competenze. Vedono l’istruzione soprattutto come ingranaggio del sistema economico. Partoriscono le riforme a partire dai cordoni della borsa.
Voi che ne pensate: siete d’accordo? Anche voi affrontate la scuola come un problema di mercato, di competitività, di efficienza? O siete ancora capaci di concepire il sapere come un oggetto del desiderio, la conoscenza come un bene indifferente all’utile, lo studio come passione disinteressata?
Tra non molto, lo sapete, tornerete in classe. E speriamo che a quel punto avrete ottenuto qualcosa. Ma sembra vi stiate concentrando più sui mezzi che sui fini. Cosa accadrebbe se provaste a puntare più in alto?