La rassegna stampa quotidiana non smette di ricordarci la nostra misera condizione. A Rieti le cose non vanno affatto bene: il lavoro continua a mancare, le industrie a delocalizzare ed i negozi ad abbassare le serrande. E questioni morali a parte, l’Amministrazione, fin’ora, è riuscita a pagare i buffi e poco altro.
In questo buio, anche una piccola luce fa un certo effetto. Del resto lo dice spesso anche il Sindaco Simone Petrangeli: dobbiamo far uscire la città dal cono d’ombra in cui si trova. Vanno in questa direzione alcuni risultati ottenuti nel campo della promozione turistica e del Cammino di Francesco in particolare. Un settore in cui l’impegno maggiore spetta per forza di cose all’Assessore al Turismo Diego di Paolo.
Qualche passo in avanti, ad esempio, è stato fatto costruendo una collaborazione con Eatinerari (il tour operator di Eataly) e con Cammini d’Europa. Altro risultato interessante è il protocollo operativo la firmato in questi giorni con Santiago di Compostela in vista delle celebrazioni per l’800° anniversario dell’arrivo da quelle parti di San Francesco.
Ogni tanto, insomma, qualcosa si muove nella direzione giusta. Volenti o nolenti, infatti, il turismo religioso è una delle tante potenzialità ancora inespresse del territorio, e non è neppure la sola. L’elenco delle risorse inutilizzate è fin troppo facile, banale, scontato. Quante volte abbiamo assistito alla giaculatoria sulle “nostre ricchezze” da “valorizzare”?
Ma a margine di un “rilancio del nucleo industriale” ancora tutto da vedere, le parole “acqua”, “agricoltura”, “Terminillo”, “turismo” e “Valle Santa” – tanto per citare le più comuni – finora sembrano aver svolto la consolatoria funzione dell’occasione mancata e poco più.
Viene allora il sospetto che la nostra città si trovi nell’attuale condizione di difficoltà e disorientamento anche a causa di un certo gusto per il vaniloquio, la demagogia e il populismo. Un atteggiamento che emerge ogni qual volta si ragiona su una traiettoria possibile di sviluppo.
È vero: abbiamo unicità storiche, bellezze architettoniche e discreti “giacimenti” culturali, paesaggistici ed eno-gastronomici. Ma finiscono con lo stare nel cuore di un bel niente. Fatta salva una retorica stanca, vuota e autoreferenziale, non sembriamo proprio capaci di far fruttare il capitale che abbiamo.
Non siamo stati in grado di dare respiro neppure all’eredità francescana, che già da sola potrebbe dare vita ad un bel po’ di opportunità. E tutto sommato questo immobilismo nemmeno stupisce. I reatini sono i primi a non vivere fino in fondo lo spirito di Francesco. Come potrebbero attrarre visitatori su una base così precaria? Il turismo funziona quando le persone possono sentire e vivere qualcosa di autentico, qualcosa che altrove non si può avere.
Vale per l’orizzonte francescano come per le bellezze naturali e le risorse culturali: questi patrimoni non possono essere sostenuti e difesi solo da un Comune. Ci vorrebbe piuttosto un “senso comune”, una comunità che viva da protagonista le proprie risorse e la propria storia.
Per troppo tempo abbiamo identificato la “classe dirigente” negli uomini della politica e delle istituzioni. Invece si dovrebbe rintracciare nelle scelte dell’imprenditoria, nel lavoro degli insegnanti, nel talento degli intellettuali, e magari anche nell’impegno dei sacerdoti.
Quello che fa il Comune è importante, ma non decisivo. Semmai si tratterebbe di capire dove sia finito il motore culturale delle nostre aspirazioni, e in quale modo sviluppare un pensiero legato al territorio. L’identità è un terreno da coltivare: va mantenuto e lavorato perché possa dare frutto.
Da tempo, purtroppo, la cultura a Rieti è un fatto d’importazione. Sapere ciò che accade fuori va bene, ma forse per prima cosa dovremmo avere più cura della nostra cultura e della nostra città. Se non altro per motivi strategici, per capire in che modo, oggi, si possa essere francescani, terminillesi, reatini…
Ma un qualcosa di questo rapporto tra la storia e la natura dei luoghi e la vita delle persone sembra essersi perso. E non è ancora all’orizzonte un progetto dedicato ai giovani e alla loro formazione, per farne i protagonisti consapevoli della città in cui vivono.
Lo sport preferito a Rieti, semmai, è quello di disperdere le energie in una polemica sterile, che assomiglia più al gioco delle parti che al vero dibattito, e che a conti fatti difende solo miseri interessi di bottega.
Vedremo mai la città stringersi attorno ai propri talenti ed in base ad un ragionamento, anche molto pratico, impostare su quel che siamo una strategia di vita prima ancora che un’aspirazione turistica? Firmare protocolli di intesa aiuta, ma siamo disposti a scommettere che dallo stallo attuale verremo fuori solo se impareremo davvero ad investire gli uni sugli altri. Il resto lo abbiamo già in abbondanza.