Ritel, dignità e povertà

Ci sono esperienze di vita che nessuno di noi sogna di vivere, anzi non se le augura minimamente: perdere il proprio lavoro, il reddito che permette di vivere dignitosamente la propria vita e quella della propria famiglia.

Parlo − sulla mia pelle − del caso Ritel, dopo aver visto vanificarsi, mese dopo mese, la speranza di una ripresa di attività. Un mese dopo mese che è diventato quasi un anno, senza percepire alcun reddito tranne il pagamento delle ferie pregresse e un anticipo da parte di una banca, in attesa del pagamento della cassa integrazione da parte dell’INPS.

Un anno comunque da vivere onorando i propri impegni, senza poter fare altre attività, altrimenti in nero. Pensi, combatti e fai tutto con la speranza che presto quel poco che chiedi per la tua vita torni: poter rientrare in casa tranquillo la sera, vedere la tua famiglia vivere serena, poter pagare senza patemi d’animo quelle bollette per cui già hai pensato a ridurre i consumi e dare ai familiari il minimo delle necessità.

Devi pagare le tasse universitarie e tuo figlio, arrangiandosi con qualche lavoretto, te ne dà una buona parte, rinunciando a qualche svago dei pochi che ha. Occorre fare sport per la salute e il figliolo offre i suoi risparmi, frutto delle mance dei compleanni, per non pesare sul bilancio familiare che non c’è più. C’è da fare la spesa e tua moglie cerca di ottimizzare sempre di più gli acquisti. Tutto con il sorriso sulle labbra, anche se, senza accorgertene, hai perso peso. Lo recuperi pian piano solo con il pensiero che porti ogni giorno, con il viso aperto alla speranza che la burrasca passi al più presto. Serve anche il dentista. Servono tante cose e gli imprevisti li devi sempre mettere in conto. Fino a quando?

Allora il pensiero va a chi queste cose le conosce bene e il suo reddito lo ricava lavorando per dare servizi al prossimo: al datore di lavoro che sapendo di mettere in mezzo alla strada centinaia di famiglie in una città ormai vuota, senza speranza, persegue i suoi interessi; al sindacato a cui dai una quota della tua paga, che dovrebbe proteggerti,  ma non riesce svolgere il suo compito; al politico locale che non è in grado di raggiungere obiettivi concreti; allo Stato che dovrebbe sopperire alle tue esigenze, ma i suoi tempi sono al di fuori della realtà quotidiana delle famiglie.

E sei talmente preso dal rimediare al quotidiano, dal centellinare i tuoi consumi − compresa la sigaretta, che sarebbe la volta buona di togliere di mezzo − che non ti accorgi del baratro che pian piano ti si spalanca davanti. Sempre con il sorriso sulle labbra, vivendo serenamente i propri giorni. E il tuo volto è simile alla maggioranza dei tuoi colleghi, quelli che vivono come te questo periodo di vita: se li scruti, mentre prendi un caffè agli incontri delle assemblee, noti tante rughe in più, rughe particolari che portano il segno della sofferenza. Sofferenza non solo economica, perché è anche tanto pesante vedersi scippato il proprio lavoro, veder annullato l’impegno profuso in tanti anni, mancando tante volte ai figli cresciuti quasi da soli, senza poter dedicare loro il tempo preso dal lavoro.

Tutto questo succede in una città ormai assuefatta alle sconfitte, dove la solidarietà di chi va a manifestare in piazza non serve e neppure che vengano chiuse le saracinesche. Una città che solidarizza con le sue forze migliori, assistendo chi è nel bisogno nel silenzio: il commerciante che conoscendo il momento va incontro al cliente perché, in questo piccolo microcosmo, tutti sanno che viviamo sotto un unico cielo.

Le conseguenze più pesanti di questa situazione − purtroppo tanto diffusa − le vive la famiglia: figli che all’inizio sono contenti di vederti sempre con loro, coniugi che rivivono un po’ di vita insieme. Ma poi nascono le domande e le perplessità di veder trascorrere i giorni nell’inattività. La nostra civiltà contadina ci porta a dedicarci al famoso orto fuori porta, a sbiancare la cucina di un parente, ma la continuità del lavoro non c’è più.

L’esempio con cui sono cresciute generazioni di reatini, davanti al fare continuo e costruttivo, ce lo hanno rubato, scippato, ce lo hanno estorto a favore dell’arricchimento di pochi e di altri che hanno usato la nostra realtà come fosse una provincia cinese.

Le rughe, i pensieri che si accavallano in questa povera realtà − perché ti accorgi che ti hanno fatto diventare povero − si attenuano, almeno per me, grazie alla fede: quella fede che ti porta a sperare nel meglio, che ti assicura che in questa vita che ti ha donato il Signore, Egli ti ha dato anche la dignità. Dignità di figlio di Dio, di creatura prediletta che nessun evento terreno può mai toglierti. Quella fede che ti porta a superare le difficoltà con l’ascolto della Parola di Dio, la preghiera e aiutando il prossimo, anche se ti hanno reso povero. Quella fede che ti dà la certezza che un giorno davanti al Signore dovrai rendere conto della tua vita, tu come tutti.

E quel giorno, quando il Signore chiederà a ognuno «nella tua vita cosa hai fatto per il prossimo?», c’è chi dovrà dire di aver fatto soffrire tante famiglie − compresi i bambini, innocenti vittime − per essersi voluto arricchire a loro discapito. C’è chi dovrà dire di non aver fatto il proprio dovere, facendo soffrire tante famiglie e tanti bambini. C’è chi dovrà dire di essere arrivato tardi in aiuto, facendo soffrire tante famiglie e tanti bambini. E c’è chi rivolgendosi al Signore potrà dire: «Ho creduto in Te e torno da Te con la dignità che mi hai donato, perché, grazie a Te, nessuno ha potuto togliermela».

2 thoughts on “Ritel, dignità e povertà”

  1. Commentatore

    A questo articolo non c’era alcuno commento perché, in realtà, c’è davvero molto poco da commentare.

    Direi che questa frase “estorto a favore dell’arricchimento di pochi e di altri che hanno usato la nostra realtà come fosse una provincia cinese” riassume le cause principali di tutta la vicenda.
    Poi certo ci sono molte concause e la situazione è davvero complicata, ma in realtà si tratta di dettagli.

  2. Claudio Orsini

    Ciao Adriano, sono Claudio, il vecchio Tricchi.
    Sai che sono un ex “senza fissa dimora” e, attualmente, un cassaintegrato, la vita non mi ha certo sorriso in faccia e…. continua a farlo, eppure…….., un giorno non lontano ho avuto la fortuna di ascoltare i miei figli che mi dicevano “Papà ti possiamo forse rimproverare di non accontentarci in alcune cose, ma la tua onestà e perseveranza ci è veramente di esempio”, non nego che in quel momento mi commossi, quelle erano parole che forse indicavano che pure un padre povero come me potesse andare bene. Sembra un discorso banale ma in me quella “colpa” è sempre esistita e forse ancora esiste.
    E cosa dire del valore “ dignità”, io penso che: “la dignità, per tutti, è seme alla nascita per poi divenire fiore per gli uomini dalle mani sporche e sterco per gli uomini dalle mani pulite”.
    Sei pronto a rinunciare a questi valori per farti possedere dal denaro? Ti conosco, il denaro non è per te, quindi…….
    Ogni tanto scrivo su una vecchia agenda delle frasi che ascolto o che mi passano per la testa (certo che questi discorsi ai facoltosi faranno pena), pochi mesi fa ho trovato parte di una pagina di questa agenda strappata. Come mai? Lì per lì non riuscii a farmene una ragione e comunque dimenticai la cosa. Qualche giorno fa notai che quel pezzo di pagina era stato inserito da mia figlia in uno dei quadretti che Lei gelosamente custodisce, sai cosa c’è scritto?: “NON PERDETE MAI LA SPERANZA”. Questo vale anche per Noi vecchietti.
    Non essere sfiduciato e segui gli insegnamenti della tua fede e del tuo percorso di vita.

    Grazie del tuo articolo.
    A presto, Tricchi.

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