Rieti, la città e le lobby al potere

La città e le lobby al potere: lo sappiamo che affrontare certi temi spinosi può essere pericoloso. Ci sono cose che non possono essere dette con incoscienza e leggerezza. Le controindicazioni di certi discorsi te le insegnano da piccoli. Non si rischiano le botte o la vita, per fortuna. Ma è quasi certo lo scivolone nella banalità, nella mancanza di misura, nel ridicolo. Non importa: di certe cose, purtroppo, è necessario interessare l’opinione pubblica. E non perché sono segrete, ma proprio perché se ne stanno tutto l’anno tranquillamente al sole, al punto che ci siamo rassegnati o nemmeno ci facciamo più caso.

Eppure basta aprire un giornale qualunque. Fanno notizia le rogne di una Giunta variamente imparentata con le banche, o la scelta di partito della compagna di un dirigente comunale. Niente di personale, intendiamoci: lo diciamo tanto per fare un esempio. I conflitti di interesse e le filiazioni stanno ovunque. L’assessore legato al costruttore, il sindacalista che è riuscito a sistemare i figli in qualche ente pubblico, il politico trombato che senza altro titolo finisce nel consiglio di amministrazione della municipalizzata. Gli esempi fateli voi.

Tanto gli interessati rispondono sempre allo stesso modo: non c’è niente di strano, di male o di illegale se il figlio, il coniuge o l’amante di un notabile riesce a farsi una posizione, ad ottenere un incarico di responsabilità. Non li si può mica discriminare perché sono nati con la camicia!

È vero. Ma se il fenomeno si presenta su vasta scala e con il carattere dell’esclusività, un problema ci deve pur essere. E a Rieti, guarda caso, in cima all’elenco ci sono sempre gli stessi cognomi. A ricostruire le genealogie e gli intrecci che vanno dalle poltrone che contano alle seconde e terze file si potrebbe disegnare una sorta di mappa del potere. Quello del gruppetto che da un bel po’ di tempo si spartisce la città. Compresi i posti da dirigenti, funzionari e impiegati per figli e congiunti, oltre a tante miserabili clientele.

Non è certo la scoperta dell’America, lo sappiamo, ma questa città divisa in uomini e caporali fa lo stesso tristezza. Agli esclusi dal giro buono non resta che soffrire. Le cose continuano ad andare nel verso giusto solo per i soliti. Magari hanno pure dei meriti, ma non si può certo dire che tutti gli altri sono scemi.

Forse il problema è che i figli di papà partono avvantaggiati. Sono abituati al meglio, hanno più mezzi. Praticamente nascono già dotati di una cultura. E diventano presto avvezzi a confrontarsi con gli interessi e le persone che contano. Ovvio che sono preparati!

I figli di nessuno invece debbono faticare il doppio, imparare tutto da capo. E novanta volte su cento rimangono comunque indietro. Forse è un problema di timidezza. Un imbarazzo che gli fa lasciare tutti i posti di responsabilità a chi ha il giusto pedigree. In fondo per comandare ci vuole una certa cultura. E quella giusta – dicono – te la fai solo in certi salotti e in certe piazze!

Ha un bel dire la Costituzione sulla rimozione degli ostacoli «di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Evidentemente – almeno a Rieti – non ci siamo adeguati. Hai voglia il Comune a far consulte. Il guaio è che dal dopoguerra ad oggi, ancora non siamo riusciti a cambiare per bene la realtà e la vita, ordinandole ad un maggior senso di giustizia, aprendole ad una autentica partecipazione.

Piuttosto sembriamo accontentarci di sottacere i conflitti, lasciando che i cambiamenti possibili rimangano come trattenuti, controllati e addomesticati dall’ordine e dalle routine sociali.

Quante volte diciamo che Rieti è una città morta! Come facile capro espiatorio universale, da qualche tempo, è stata scelta la Ztl. Ma non sarà che la ragione di questa calma piatta bisogna cercarla nell’esserci volontariamente abituati alla normalizzazione di un’evidente prepotenza sociale?

Prese singolarmente, certe storie, certe relazioni, stanno alla cronaca, quando non sono un aspetto abbastanza odioso del puro pettegolezzo. Ma guardate tutte in una volta la dicono lunga su come stiamo messi. Magari a ragionarci insieme si potrebbe riuscire a superare quella sorta di rassegnazione che ci fa diventare tutti complici. E alla lunga si potrebbe pure riuscire ad emergere dalla palude, a fare un piccolo passo in avanti.