Rieti e il problema “particulare”

Non tutti perdono il posto allo stesso modo. Quasi nessuno sente il grido di dolore di chi ritorna in famiglia sconfitto e non ha il coraggio di guardare i propri figli o propria moglie. Pochi, pochissimi si occupano di loro, del loro destino, dei loro problemi.

Qualcun altro, invece, raccoglie tantissima attenzione. Ad esempio la presidente della Regione Renata Polverini. Ci ha lasciati con un altro stile, senza scuse e né lacrime, nonostante lo scempio del Consiglio del Lazio.

Anche il presidente della Provincia Fabio Melilli ha lasciato il posto. Rimangono le fabbriche in crisi e le società pubbliche provinciali in gravi difficoltà. Resta sul campo anche un centro-sinistra orfano di idee, di progettualità e di rincalzi adeguati per fare politica.

Il Sindaco di Rieti, invece, sta al suo posto. Tira avanti a fatica un ente disastrato nel mezzo di una città piena di problemi e richieste inevase. E si sente in dovere di intitolare una via o una piazza al compianto Cardinale Martini. Non si sa mai: dall’altro dei cieli potrebbe intercedere per noi!

Che tristezza. Nessuno in politica sembra più avere a cuore il problema del lavoro e di chi lo perde, non ultimi i commercianti e gli artigiani che chiudono le attività. C’è la crisi, d’accordo, lo sappiamo. Ma non si può solo tamponare il presente senza avere una prospettiva.

Le strade non mancherebbero. Lo studio commissionato qualche anno fa dalla Cassa di Risparmio e quello annuale della Camera di Commercio sull’economia locale mostrano che non sfruttiamo a pieno le nostre potenzialità agricole e di allevamento. Potremmo essere fornitori di quel grande bacino umano che è Roma, ma non ci muoviamo.

Perché, in attesa che l’economia si riavvii, non riusciamo a gettare le basi di concreti progetti di lavoro per il nostro territorio? Eppure le intelligenze non ci mancano. Tanti, giovani e meno giovani, potrebbero mettersi al servizio della comunità offrendo suggerimenti, competenze e progettualità.

Basterebbe saperli intercettare, coinvolgere, accorgersi di loro. Non sarà che non interessano perché si muovono lontano dall’orbita dei partiti, delle associazioni di categoria, delle fondazioni? Possibile che i talenti emergano solo per censo, o quando servono a consolidare le rendite di posizione e gli intrallazzi delle caste?

Mentre qualcuno si fa bello, in tanti soffrono. Guardiano il commercio al dettaglio: è come stretto in una morsa: da un lato la concorrenza della grossa distribuzione, dall’altro la crisi economica generale.

Il settore finirà definitivamente soffocato se non cominceremo a fare analisi serie e non proveremo a darci qualche risposta. Capire come mai in questi anni nessuno ha studiato l’evoluzione della distribuzione commerciale alla ricerca di soluzioni sostenibili per tutti (addetti, utenti e sistema-città) sarebbe già qualcosa. Chi ha guadagnato dal laissez-faire commerciale?

Tante volte si è sentito parlare di “Centri Commerciali Naturali”. Ma di negozi, artigiani e servizi che si siano messi insieme per produrre un coordinamento di attività non c’è traccia. Che a qualcuno interessi fare chiacchiere, buttarla in caciara, per mantenere posizioni con l’antica strategia del divide et impera?

E l’industria? Ci sono delle aziende del nostro nucleo industriale che vantano esperienze e primati. Altre, meno fortunate, sono in costante crisi e mettono a repentaglio le famiglie di molti lavoratori. Le dinamiche della globalizzazione hanno il loro peso, è chiaro. Ma la morìa è tale da suscitare il sospetto che più di un imprenditore abbia sfruttato il momento favorevole senza pensare al domani. Come se le associazioni di settore non facessero abbastanza per formare imprenditori capaci e consapevoli del ruolo che svolgono.

Eppure la consapevolezza e la cultura sarebbero la prima cosa. Quanto gioverebbe un cambiamento “culturale”! In fondo tutto questo rincorrere il piccolo interesse, questo coltivare il proprio orticello rubando l’acqua a quello degli altri è il marchio del nostro essere provinciali. A guardarli da fuori le mura è facile vedere quanto certi atteggiamenti siano addirittura ridicoli.

Quante ricchezze non vengono godute, quanti mezzi sono utilizzati in modo approssimativo e dilettantistico perché insistiamo ad ostacolarci l’un l’altro, a chiuderci nel nostro “particulare”? Come possiamo riuscire ad essere credibili, ad avere dignità e peso politico, ad avviare una fase di sviluppo se ognuno tira l’acqua solo al suo mulino?

Lo sappiamo tutti che ci sono le potenzialità. C’è un territorio da recuperare, ci sono da pianificare eventi di ogni natura, c’è da mettere a punto offerte turistiche e commerciali. Tutti abbiamo in tasca la ricetta di un mix che porterebbe al rilancio della Città e del commercio dentro le mura. Ma nessuno la cucina. Sarà che ci è venuta una ossessione collettiva per la magrezza. E così, a conti fatti, sono sempre i soliti noti ad ingrassare.