Nell’ultimo periodo il Sindaco Petrangeli ha più volte accennato alla dimensione europea della crisi locale e alla sofferenza che le politiche di austerità aggiungono alle difficoltà contabili del Comune. L’abbiamo incontrato per approfondire questi temi
Partiamo dall’ultimo consiglio comunale. È stato approvato il riequilibrio di bilancio. Come vanno i conti del Comune? La prospettiva è sempre quella dei tagli?
I conti sono in linea con quanto ci aspettavamo. Rispetto al passato abbiamo fatto un bilancio preventivo veritiero e le variazioni sono state poco significative. Non dovrebbero esserci nuovi tagli all’orizzonte. Quelli già fatti riguardavano davvero la spesa improduttiva. Si tratta di circa 14 milioni di euro in meno rispetto al passato.
Comunque sia i tagli finiscono con incidere soprattutto sulle fasce più deboli.
Non credo sia così. Che una politica di rigore e di risparmio comporti anche una razionalizzazione degli interventi del Comune è nelle cose. Ma abbiamo fatto tutto il possibile per mantenere intatto il livello dei servizi. Anzi, in molti casi sono stati anche potenziati o aumentati. Il risultato positivo di questa politica rigorosa è stato un risparmio di circa 2 milioni e mezzo di euro. L’aspetto drammatico è che questi fondi non li abbiamo potuti spendere per il cittadino. Ci siamo ritrovati a dover saldare tutta una serie di debiti fuori bilancio, specialmente sotto forma di utenze e forniture, oltre ad un bel po’ di Iva arretrata. Tutte eredità lasciate da chi ci ha preceduto.
Oltre ai debiti, a mettere in difficoltà i conti del Comune ci sono i vincoli del patto si stabilità, la diminuzione dei trasferimenti da parte dello Stato, la sospensione dell’Imu. Pochi giorni fa hai dichiarato che ti dovresti incatenare sotto il palazzo del Governo per protesta…
Prendiamo l’Imu: nel nostro caso si parla di sei milioni di euro. Corrisponde al 10% circa della nostra spesa corrente. Con l’Imu ci paghiamo gli stipendi dei dipendenti, ci teniamo in vita la macchina organizzativa dell’ente. Non avere quegli incassi significa rischiare veramente il dissesto.
La crisi degli enti locali va cercata ai vertici della catena amministrativa?
I Comuni non hanno una leva fiscale autonoma, dipendono dai trasferimenti dello Stato. Basta un ritardo nell’erogazione per metterli in seria difficoltà. Ma non c’è solo questo. Gli effetti delle decisioni prese dai governi si scaricano tutti sulle spalle dei Comuni. E i sindaci si ritrovano nel ruolo del parafulmine di fronte a qualunque problema: dalla fabbrica che chiude, alla scuola che rischia di farlo. Difficoltà rispetto cui non solo non hanno le risorse per intervenire, ma spesso nemmeno la competenza. Il vero livello decisionale rimane quello nazionale, o meglio ancora quello europeo. Nella catena del comando, infatti, anche i governi nazionali contano poco. I Paesi hanno poco margine di manovra rispetto alle direttive della BCE o della Commissione Europea. Forse fanno eccezione la Germania e la Francia, ma mi sembra una magra consolazione. O si fa definitivamente il passo verso un’Europa politica, o difficilmente potremo aspettarci un miglioramento.
Ma quali sono le forze che agiscono in direzione contraria? A chi dobbiamo l’attuale programma di austerità forzata? Cosa ha determinato l’attuale impostazione economica e istituzionale dell’Europa? La spesa pubblica cala in funzione di dogmi come l’obbligo del pareggio di bilancio, mentre il mantra dei mercati fa sospettare che l’euroburocrazia abbia scambiato le garanzie di guadagno dei grandi investitori con il benessere dei popoli…
Questa situazione fa sicuramente comodo a tutte quelle realtà che si avvantaggiano dall’accentramento del potere. E tanti importanti poli decisionali di oggi hanno poco a che vedere con la democrazia. Questo, se vogliamo, è anche il risultato di una sostanziale debolezza della politica. Uno dei rischi di oggi è che si vengano a creare attorno alle grandi aree metropolitane forti concentrazioni di interessi, indifferenti al destino di aree periferiche come la nostra. Già oggi, pur reagendo come può alla crisi economica, il territorio reatino riesce poco a far sentire la sua voce. Ci vorrebbe una sorta di indice di perequazione territoriale, una soluzione ancora tutta da inventare.
La crisi investe anche la pubblica amministrazione. Le politiche di austerità stanno spingendo gli enti locali verso una fine ingloriosa. Giusto qualche giorno fa l’on. Melilli annunciava il probabile dissesto della Provincia. Ovviamente i minori trasferimenti dallo Stato hanno un peso. Ci troviamo di fronte ad una strategia per indebolire gli enti di prossimità? Si vuole allontanare la partecipazione ed il controllo democratico dei cittadini dalle scelte?
Di sicuro il sospetto è legittimo. Ma il caso delle Province pare essere l’ennesimo esempio di debolezza della politica. Non è stata capace di progettare e portare a termine una riforma coerente. E mentre si tergiversa gli enti muoiono di inedia. Se questo stato di cose corrisponda ad una strategia è difficile dirlo oggi. Abbiamo invece la certezza di essere passati da un estremo all’altro. Dopo la seconda guerra mondiale abbiamo assistito ad un trentennio di progresso e avanzamento. Ma nell’ultima parte di questo periodo di crescita c’è stato pure un incredibile sperpero di denaro pubblico. Si è condotto il Paese verso un indebitamento sconsiderato e quasi sempre improduttivo. I fenomeni cui stiamo assistendo sono anche una reazione “uguale e contraria” agli errori del passato.
E come se ne esce?
Partiamo da un dato di fatto: già oggi i governi nazionali hanno perduto gran parte della loro sovranità. Indubbiamente è una cosa che spaventa, ma può non essere necessariamente un male: bisogna vedere dove stiamo andando. Io sono un convinto europeista, ma anche un convinto municipalista. A mio avviso il passo giusto da compiere sarebbe quello di arrivare a due livelli amministrativi e politici: quello europeo e quello dei territori e delle comunità locali. Qualcosa in questa direzione si sta già muovendo. Ad esempio i territori possono avere finanziamenti diretti dall’Europa. Ma dire quale sia il destino del continente partendo dal panorama attuale è davvero molto problematico.
I problemi non mancano, ma l’Unione è anche una preziosa fonte di opportunità. La scorsa settimana, ad esempio, il Presidente della Regione Lazio Zingaretti era a Rieti per cercare aziende e progetti su cui investire i fondi europei…
La visita di Zingaretti è un fatto positivo. L’economia degli enti locali è fatta di due grosse aree: la spesa corrente e gli investimenti. Per come vanno le cose oggi, la prima non potrà che rimanere ferma o diminuire. Quanto agli investimenti per opere pubbliche, infrastrutture ed interventi a sostegno delle imprese, l’unica possibilità concreta è di rivolgersi all’Europa. Se a gennaio saranno riqualificate le piazze, ad esempio, è perché sono stati intercettati fondi europei.
Ma allora come fa un piccolo Comune come quello di Rieti a difendersi e trovare una nuova strada per lo sviluppo mentre la fine della sovranità degli Stati si consuma di fronte alle contraddizioni ideologiche, politiche e finanziarie dell’Europa?
Attrezzandosi per cercare opportunità nelle cose buone che l’Europa ha da offrire. Ci stiamo organizzando per avviare un ufficio specializzato in questo. Ma non basta: occorre anche stringere alleanze con i territori vicini. Ad esempio sarà importantissimo lavorare a rapporti sempre più stretti tra Rieti e Terni, ma anche con Viterbo e Civitavecchia. Magari non sono tutti contesti omogenei, ma ci sono situazioni complementari e opportunità di sviluppo in comune da tenere assolutamente presente. Oggi la cosa più importante per Rieti è uscire dall’isolamento. Anche se al momento certe cose sembrano stare in secondo piano, tra i tratti più belli del disegno europeo c’è la prospettiva del dialogo, del confronto, e della collaborazione. Ogni sforzo in quella direzione, non solo fa bene a Rieti, ma è anche il contributo positivo che una città piccola come la nostra può offrire in vista di un’Europa migliore.