Alla vigilia della Giornata (27 gennaio), parla Renzo Gattegna, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane (Ucei). La conferma che dall’Italia non c’è una fuga verso Israele, come accade in altri Paesi europei: “Le sinagoghe sono aperte, le scuole sono affollate, il calendario di eventi culturali è fitto”. Crescono la conoscenza e il rispetto, ma “guai a sederci sugli allori!”
Il 27 gennaio 1945 le truppe sovietiche entrarono nel campo di sterminio di Auschwitz, in Polonia (oggi Oswiecim). Sono passati 70 anni e la data è divenuta oggi simbolo di liberazione, tanto da essere stata scelta per celebrare la Giornata della memoria, istituita nel 2005. Come ogni anno, ricco è il calendario delle iniziative. La Giornata quest’anno si celebra in un momento estremamente delicato per la vita delle comunità ebraiche in Europa dopo gli attentati al museo ebraico di Bruxelles e i drammatici fatti di Parigi. Situazione critica che in Francia sta spingendo la popolazione ebraica a prendere in considerazione l’alihay (l’immigrazione ebraica nella terra di Israele). E in Italia? Uno studio pubblicato dall’Ucei in questi giorni evidenzia come rispetto all’Europa, la situazione italiana è molto diversa e prima di parlare di antisemitismo, ciò che preoccupa la comunità sono i problemi reali (disoccupazione, corruzione, crisi economica, razzismo e criminalità) che flagellano il Paese. Renzo Gattegna, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane (Ucei), ritiene che in Italia molto si sta facendo per la lotta contro l’antisemitismo, soprattutto nel mondo della scuola. Ma avverte: “Guai a sederci sugli allori!”.
Presidente, gli ebrei italiani rispetto a quanto avviene nelle comunità europee non hanno lasciato il Paese. Perché? In Italia c’è più sicurezza?
“La situazione italiana è molto diversa da quella francese o di altri Paesi in cui l’antisemitismo, nelle sue diverse matrici ed espressioni, presenta quotidianamente il proprio volto attraverso minacce all’integrità fisica degli individui, atti vandalici, attentati a luoghi ebraici. Gli ultimi episodi in Europa generano preoccupazione, è naturale, ma siamo anche consapevoli dell’eccellente lavoro svolto in questi anni assieme alle istituzioni e alle forze di sicurezza per reprimere ogni tentativo di intimidazione. La vita ebraica va avanti regolarmente: le sinagoghe sono aperte, le scuole sono affollate, il calendario di eventi culturali è fitto. La scelta di emigrare in Israele, nella stragrande maggioranza dei casi, è frutto di una scelta libera e consapevole e non dalla necessità di scappare da un pericolo imminente”.
A che punto è nel nostro Paese la cultura della memoria?
“I risultati più soddisfacenti arrivano senz’altro dal mondo della scuola, che ogni anno viene sollecitato con iniziative e impegni finalizzati ad accrescere la consapevolezza delle nuove generazioni e la loro capacità di attualizzare la terribile lezione della Shoah. Sono dell’idea che si stiano radicando ottime pratiche in tutto il Paese e la firma negli scorsi giorni di un ulteriore protocollo d’intesa con il ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Stefania Giannini, segna il proseguimento di una collaborazione che ha già dato ottimi frutti. Guai però a sederci sugli allori: non vanno infatti ignorati i segnali che arrivano da una parte di Paese che fa fatica ad affrontare il proprio passato o in cui si strumentalizza il significato della memoria per diversi fini, non ultimi quelli propagandistico-elettorali. Di fronte a queste minacce servono massima vigilanza e l’impegno di tutti, perché chi mette a rischio il valore della memoria mette a rischio l’intera società italiana, il suo presente, il suo futuro”.
I fatti di Parigi indicano che l’antisemitismo semina ancora odio nei cuori degli uomini. Come sradicarlo?
“L’antisemitismo è un male antico di millenni e non certo un fatto nuovo. Il modo più adeguato di rispondere ai fautori dell’odio, in una società in cui siano comunque previsti gli strumenti adeguati per reprimere da un punto di vista penale eventuali reati o violenze, è quello di investire sul fronte della cultura e della conoscenza. Là dove questo avviene, è scientificamente provato che il pregiudizio e le ostilità si presentino in percentuali meno significative. La forte attenzione che in Italia c’è per ogni iniziativa in ambito ebraico è un fatto confortante e un’ottima base di partenza per sviluppare progettualità future”.
Quale responsabilità culturale ed educativa ricade oggi sulle comunità cattoliche e religiose in generale?
“I leader e le comunità religiose hanno una grande responsabilità, soprattutto in tempi particolarmente complessi come quelli che stiamo vivendo: trasmettere un senso positivo di appartenenza alla propria identità, favorire i rapporti di amicizia e collaborazione con chi professa una fede diversa dalla propria. Lavorare insieme per la pace e la fratellanza è la risposta più forte che possiamo dare a chi, attraverso il veleno dell’odio, cerca di dividerci e allontanarci. I positivi rapporti che realtà ebraiche e cattoliche intrattengono oggi, i tanti progetti che sono sviluppati assieme, rappresentano un modello virtuoso che può essere preso come esempio”.