Invito all’impegno e alla buona politica, non quella “asservita alle ambizioni individuali o alla prepotenza di fazioni o centri di interesse. Una politica che non sia né serva né padrona, ma amica e collaboratrice”
La domenica di Papa Francesco è viaggio a Cesena e Bologna, invito all’impegno e alla buona politica, non quella “asservita alle ambizioni individuali o alla prepotenza di fazioni o centri di interesse. Una politica che non sia né serva né padrona, ma amica e collaboratrice”. Per questo è “essenziale lavorare tutti insieme per il bene comune”. Parole che pronuncia nella piazza del Popolo di Cesena perché è nell’agire in nome e a favore del popolo che troviamo la nobiltà dell’azione politica.
La piazza, dice il Papa, è il luogo “emblematico dove le aspirazioni dei singoli si confrontano con le esigenze, le aspettative e i sogni dell’intera cittadinanza. E arrivando a Bologna, dopo la visita al centro dove sono ospitati i migranti, con al polso il braccialetto giallo che ogni ospite dell’hub regionale – “lottatori di speranza” li ha chiamati – porta al braccio, è un’altra piazza che accoglie Francesco. Nell’aria, ancora le note di Piazza grande di Lucio Dalla cantata da Gianni Morandi: “Santi che pagano il mio pranzo non ce n’è sulle panchine di piazza grande… A mio modo avrei bisogno di pregare Dio”.
In questa domenica un migliaio di poveri hanno trovato un pasto dentro la basilica di San Petronio, con loro anche Papa Francesco, perché “creare una società più giusta non è un sogno del passato, ma un impegno e un lavoro, che ha bisogno di tutti”. La Chiesa “vi vuole al centro”, dice il Papa prima di sedersi a tavola con poveri, detenuti e migranti.
Davanti a San Petronio Francesco, nel suo discorso, dice: “Non si offre vero aiuto ai poveri senza che possano trovare lavoro e dignità… è necessario togliere centralità alla legge del profitto e assegnarla alla persona e al bene comune”.
Parole che sono un invito a guardare al nostro stile di vita, alle scelte che compiamo quotidianamente. Perché a parole siamo tutti solidali, sui principi siamo tutti d’accordo ma è nelle azioni che ci diversifichiamo. Ed è il richiamo che troviamo nella parabola dei due figli, contenuta nel brano del Vangelo di Matteo. In sostanza, ci troviamo a leggere la distanza che separa colui che si professa sempre all’altezza della fedeltà alla Parola, ma non compie alcun gesto di benevolenza e di carità, non conosce misericordia, e chi invece non ha la forza di convertirsi, consapevole della propria condotta sbagliata.
Il nostro è un tempo in cui siamo bombardati, da parole, discorsi, promesse tanto vane quanto inutili. La paura, dice il Papa, “fa sentire in diritto di giudicare e di poterlo fare con durezza e freddezza”. Ci nascondiamo dietro a cifre e statistiche per leggere il fenomeno migratorio, la disoccupazione, e non pensiamo che parliamo di persone e non di numeri.
Le parole del Vangelo di domenica vogliono in qualche modo farci riflettere su questa diversità tra parola e gesto; ci mettono di fronte alle risposte dei due figli chiamati dal padre ad andare a lavorare nella vigna. Le conosciamo: uno dice no e poi, pentito, ci va; l’altro, pur dicendo il suo sì, non mette piede nella vigna. Tra i due c’è una grande differenza, dice nell’omelia a Bologna il Papa: il primo figlio è pigro, il secondo ipocrita. “Il ricordo del padre ha ridestato il primo figlio dalla pigrizia, mentre il secondo, che pur conosceva il bene, ha smentito il dire col fare. Era infatti diventato impermeabile alla voce di Dio e della coscienza e così aveva abbracciato senza problemi la doppiezza di vita. Gesù con questa parabola pone due strade davanti a noi, che – lo sperimentiamo – non siamo sempre pronti a di dire sì con le parole e le opere, perché siamo peccatori. Ma possiamo scegliere se essere peccatori in cammino, che restano in ascolto del Signore e quando cadono si pentono e si rialzano, come il primo figlio; oppure peccatori seduti, pronti a giustificarsi sempre e solo a parole secondo quello che conviene”. La parola chiave per Francesco è pentirsi: “La vita cristiana è un cammino umile di una coscienza mai rigida e sempre in rapporto con Dio, che sa pentirsi e affidarsi a Lui nelle sue povertà, senza mai presumere di bastare a sé stessa”.