Il responsabile economico della Coldiretti, Lorenzo Bazzana prevede una scarsità progressiva dei prodotti con conseguenti rincari. “L’autodifesa consiste nel verificare l’origine in etichetta, almeno sui prodotti dove è in vigore l’obbligo di indicare la provenienza” e poi fare ricorso agli acquisti diretti dai produttori agricoli a “chilometro-zero”. Attenzione ai prodotti esteri di bassa qualità.
L’allarme lanciato da Coldiretti all’inizio del 2015 è serio: la produzione italiana di olio di oliva è crollata lo scorso anno del 35%; quella di agrumi del 25%; il vino del 15%; il miele del 50%, per non parlare di grano duro, mandorle, castagne ( queste ultime -60% in dieci anni). Una piccola “caporetto” del made in Italy agroalimentare, dovuto a diversi fattori: climatici, da virus, batteri, parassiti di alberi, arbusti, frutta e verdura. Il risultato è che le scorte di alcuni di questi prodotti sono stimate per non più di sei mesi, un record negativo che impensierisce per diversi motivi. Ad esempio, la produzione nazionale di pasta, di cui come italiani andiamo giustamente fieri e che consumiamo in abbondanza (26 kg all’anno a testa, tre volte più degli statunitensi, cinque volte più dei tedeschi, sedici volte più di un giapponese), ci costringe a comprare il 40% del grano duro necessario all’estero. Comunque li si guardi, questi dati appaiono giustamente preoccupanti, perché parlano di una crisi che ci colpisce in quel campo in cui per secoli siamo stati un paese davvero “leader”: i prodotti italiani sono rinomati in tutto il mondo. Dagli Usa viene proprio in questi giorni e in parallelo alle note della Coldiretti la conferma che il “made in Italy” agro-alimentare sta conquistando i palati della upper class newyorkese, che per Natale ha fatto incetta di prodotti del “bio” tricolore a prezzi stratosferici. E allora, come valutare questi dati, quali le conseguenze per la popolazione? Lo abbiamo chiesto al responsabile economico della Coldiretti, Lorenzo Bazzana.
Dobbiamo davvero preoccuparci di queste cifre produttive al ribasso?
“Sì, i dati sono pesanti, ma dobbiamo anche ricondurli nell’alveo delle difficoltà tipiche del fare agricoltura. Si tratta di un settore che, da sempre, soffre di vari fattori stagionali e dove non si può dare nulla per scontato. In questo caso, l’insieme di un clima impietoso, di malattie dilaganti, di una resa dei terreni discontinua hanno avuto come esito cifre che possono impressionare. Ma questa è la storia della produzione agro-alimentare”.
Cosa potrà significare per il consumo da parte della popolazione italiana?
“Le conseguenze più dirette saranno in termini di scarsità progressiva di certi generi nazionali, che dovranno per forza essere sostituiti da prodotti di importazione. E poi ci saranno ricadute anche sul ‘portafoglio’, perché chi volesse a tutti i costi acquistare italiano dovrà da un certo punto in poi spendere un po’ di più”.
La crisi produttiva avrà anche una ricaduta di tipo macro-economico?
“Certamente. La questione non è solo di tipo, diciamo così, ‘didattico’ per trarne un insegnamento e modificare le nostre abitudini alimentari il meno possibile. C’è anche un importante risvolto economico: anzitutto perché le aziende agricole interessate produrranno di meno e poi perché la nostra bilancia dei pagamenti si appesantirà dei maggiori volumi di merci importate, venendo a mancare una fetta così consistente di prodotti nazionali”.
Questa crisi produttiva arriva, neanche a farlo apposta, mentre c’è anche una crisi economica che riduce redditi e consumi di larghe fasce di popolazione. Così è pensabile che le famiglie coi redditi più bassi dovranno fare sacrifici anche sul cibo, aumentando il ricorso ai discount dove si vendono prodotti a più basso costo. Si corrono rischi maggiori?
“Il mercato in realtà è più complesso di quanto non sembri. Non è sufficiente riferirsi ai discount, che aumentano i loro fatturati in periodi di crisi. In realtà, i consumatori esprimono aspettative diversificate: ad esempio aumenta la richiesta di prodotti ‘bio’, che comunque costano qualcosa in più dei prodotti ordinari. Come pure dei generi a denominazione di origine, o gluten-free, o per celiaci e così via. In sostanza, il consumatore spenderà anche meno, ma si sta specializzando e compra sempre più spesso a ragion veduta, all’insegna della ricerca di qualità”.
Saremo invasi da quote crescenti di prodotti del “finto-made in Italy”?
“Sì, questo rischio esiste. Bisogna stare maggiormente attenti a non portarsi in tavolaprodotti spacciati per italiani ma provenienti dall’estero, spesso di bassa qualità. L’autodifesa consiste nel verificare con attenzione l’origine in etichetta, almeno su quei prodotti come l’olio, il miele e gli agrumi freschi dove è in vigore l’obbligo di indicare la provenienza, oppure di rivolgersi direttamente ai produttori nelle aziende agricole, negli agriturismi o nei mercati di ‘Campagna Amica’, i famosi acquisti a ‘chilometro-zero’. Si può anche cercare sulle confezioni il caratteristico logo (Dop/Igp) a cerchi concentrici blu e gialli con la scritta per esteso nella parte gialla ‘Denominazione di Origine Protetta’ o ‘Indicazione Geografica Protetta’”.
Resisteranno, anche per via di questa crisi produttiva, i nostri record nazionali in termini di longevità della vita media?
“Non è certo un caso se siamo primatisti nel mondo con i 79,4 anni medi dei maschi e gli 84,5 anni delle donne. E sappiamo anche che i cibi italiani sono tra i più controllati e sicuri al mondo. Bisogna quindi stare attenti a non rompere questo circuito positivo, controllare bene le etichette, rifiutare i prodotti ‘sospetti’. Continuiamo a difendere la nostra salute”.