Non discriminare non vuol dire addomesticare la verità e giustificare l’errore

Da qualche anno a questa parte, in varie parti del mondo, il movimento per i diritti degli omosessuali rivendica un riconoscimento legale delle unioni omosessuali, come punto di partenza di un effettivo riconoscimento sociale di questo stato di vita. Addirittura molti vorrebbero che la Chiesa stessa ammettesse al matrimonio le coppie di uno stesso sesso: su questo punto tutti hanno presenti i fondamenti biblici e teologici del diniego della Chiesa, ben esposti nel Catechismo della Chiesa Cattolica; mi sento, tuttavia, di fare qualche considerazione ulteriore.

Il termine matri-monium indica la “condizione legale della madre”. E la capacità naturale di procreare è la via, diciamo “ordinaria”, perché sia riconosciuta tale condizione. Desidero solo sottolineare l’affinità semantica con patri-monium e testi-monium, rispettivamente “condizione legale del padre” e “condizione legale del teste”.

Dunque, un matrimonio, anche solo civile, tra persone dello stesso sesso è una contraddizione nei termini e nella sostanza.

L’umanità potrà pure servirsi della scienza e della tecnica per manipolare la natura anche oltre i limiti posti dalla legge morale naturale, ma non potrà mai offuscare la verità che è nell’ordine delle cose create e profondamente radicata nel cuore dell’uomo.

Come Pastore raccomando vivamente di non alimentare alcuna forma di discriminazione verso persone e coppie omosessuali, anzi di essere cordiali e benevoli; tuttavia accogliere e non discriminare non vuol dire addomesticare la verità e giustificare l’errore.

La diversità fisica è un elemento essenziale ed ineliminabile perché vi sia famiglia, che è comunione di diversi.

Riconoscere a tutti i medesimi diritti non può significare annullare le differenze: un conto è l’uguaglianza nella dignità, un conto è la pretesa di essere trattati tutti allo stesso modo.