A Mezzogiorno: fuga per la salute

Pesano la scarsa fiducia nelle possibilità di cura e le lunghe liste d’attesa.

Il rapporto diffuso nel settembre scorso del Ministero della Salute sulle cosiddette “Sdo 2013” – acronimo che sta per “schede di dimissione ospedaliera” – è chiaro sulla cosiddetta “mobilita ospedaliera interregionale”. Nel totale sono stati 741mila gli italiani che hanno lasciato le loro residenze per cercare quello che a casa loro non trovano: diagnosi rapide, cure, sicurezza.

La maggior parte di questo esercito che emigra proviene dal Sud, in particolare da Abruzzo, Calabria, Campania. Puglia e Sicilia. I luoghi di destinazione sono per lo più concentrati in Emilia Romagna, Lombardia, Toscana e Veneto. In Lombardia, la regione che accoglie di più, sono stati registrati 64.825 ricoverati provenienti da altre regioni: tra i quali, 7.314 calabresi, 7.428 campani, 8.311 pugliesi, fino agli 11.547 siciliani. Seguono l’Emilia Romagna – che ha 47.311 ricoveri provenienti da altre regioni – e la Toscana, 25mila ricoveri. Nel totale, emigrano 33.234 pazienti siciliani, 38.635 calabresi, 39.397 pugliesi, seguiti dai campani, che sono addirittura 52.106. Sono contati in 52.748 in pazienti affetti da tumore (di questi, 7.402 dalla Campania, 5.416 dalla Calabria 4.853 dalla Puglia), che hanno preferito farsi curare in regioni diverse da quelle di loro appartenenza.

Anche nel campo della sanità, l’Italia è drammaticamente divisa in due. All’inizio di quest’anno, il Censis, nella ricerca “La crisi sociale del Mezzogiorno”, parlava di “abbandono della sanità pubblica” nel Sud, grazie al combinato disposto degli effetti dei piani di rientro e della spending review. Il Censis scriveva: “Il giudizio su quanto è avvenuto negli ultimi anni si inasprisce passando dal Nord al Sud della penisola: a Nord Ovest è il 7,5% dei cittadini intervistati che giudica in peggioramento il livello dei servizi sanitari, l’8,7% al Nord est, ben il 25,6% al Centro e, la quota più alta nel confronto, il 32,1% al Sud e alle Isole. Nella prospettiva futura, quasi il 45% dei rispondenti del Centro (su cui pesa la situazione del Lazio in piano di rientro) e il 38% circa degli intervistati del Sud guarda con pessimismo all’ipotesi di un sistema sanitario migliore, a fronte del 25,9% di intervistati nel Nord-Ovest e del 26,8% del Nord-Est”. Sulla questione della “mobilità delle cure”, si osservava che le motivazioni che spingono i cittadini del Sud verso il Centro-Nord, sono queste: scarsa fiducia nelle Istituzioni, sanitarie e non solo e nelle possibilità di cura, le lunghe liste d’attesa che costringono a propendere verso il privato convenzionato o il privato tout court.

Questa condizione di disagio strutturale nel campo della sanità, impatta con un’altra caratteristica del Sud: l’indice di vecchiaia, aumentato negli ultimi anni del 30% rispetto al 5,2% del Nord-Ovest, al 75 del Centro e -1% del Nord-Est. Una popolazione sempre più anziana, alla quale non viene garantito il diritto alla salute, rimane priva di difesa. Altro che sistema di “welfare sociale”. Quale “welfare” si può garantire in condizioni siffatte?

Due sono le considerazioni da fare. La prima riguarda l’impostazione che viene data ai cosiddetti “tagli” alle amministrazioni locali: quella “lineare”, che prevede tagli indiscriminati, è inutilmente “ingiusta”, perché penalizza regioni che hanno speso bene il denaro a disposizione. La seconda riguarda il futuro del Sud: se è vero che occorrono – come sostengono gli osservatori sociali più avvertiti – investimenti sociali mirati, è vero anche che la situazione attuale di degrado in tutti i campi – quello della sanità è “esemplare”, perché copre quasi il 90% dei bilanci delle regioni meridionali – richiederebbe il controllo capillare e centralizzato delle risorse pubbliche che vengono messe a disposizione.