Si prevede di introdurre la deducibilità delle spese di formazione che, per alcune categorie di liberi professionisti (commercialisti, sanitari, ingegneri, ecc.) sono spesso molto pesanti e obbligatorie. Dovrebbe essere introdotta anche una qualche forma di welfare sanitario (per esempio la sospensione dei contributi in caso di grave malattia, come pure una indennità per congedo di maternità che finora le mamme professioniste non hanno mai conosciuto). Si sta discutendo anche di una disciplina fiscale di maggior favore (rimodulazione degli studi di settore) e anche di una migliore definizione dello “smart working”
Quale categoria è stata più penalizzata per la crisi economica dal 2008 ad oggi? A guardare i dati che l’Istat aggiorna periodicamente, la risposta sembra essere quella delle imprese individuali, artigiani, commercianti, liberi professionisti, in due parole il lavoro autonomo. Queste le cifre: nel 2008 il totale delle persone attive in Italia era di 23.181.000 e oggi, otto anni dopo, siamo scesi a 22.634.000. Sono andati “perduti” 547mila posti di lavoro (e/o imprese individuali), e lo confermano i dati parziali. Infatti, nel 2008 i lavoratori dipendenti a tempo indeterminato erano 14.820.000 e oggi sono saliti a 14.837.000, con un aumento di 17mila unità. I lavoratori “a termine”, con contratti di varia durata, erano all’epoca 2.371.000 e oggi ammontano a 2.337.000, con una diminuzione di 34mila. Il saldo tra i due settori del lavoro dipendente è quindi di 17mila posti che non ci sono più. I veri guai, però, sono altrove. Osservando il lavoro cosiddetto “indipendente”, vale a dire il variegato universo degli autonomi (dal gelataio al consulente informatico, all’idraulico al pizzaiolo, fino all’architetto, al commercialista, al consulente del lavoro, al veterinario e così via), scopriamo che è qui dove si è registrato un vero “crollo”.
Questa vasta categoria di operatori indipendenti è passata in otto anni da un totale di 5.990.000 persone alle odierne 5.460.000, con una riduzione di ben 530mila unità. Sono cioè scomparse oltre mezzo milione di attività in proprio, di studi professionali, di negozi sotto casa, di tecnici vari legati specialmente al mondo dell’edilizia (idraulici, piastrellisti, palchettisti, ecc.).
A parziale compensazione di tale caduta occupazionale è stata la diffusione, in questi ultimi anni, dei “voucher”, vale a dire i buoni-lavoro con i quali si pagano le persone chiamate a prestare un’attività temporanea, anche di poche decine di ore mensili, con regolari versamenti previdenziali e fiscali. Lo scorso anno ne sono stati venduti 115 milioni, rispetto ai 15 milioni del primo anno (2011), retribuendo l’equivalente di 1,4 milioni di persone che hanno prestato attività occasionali (in agricoltura, negli alberghi, in piccole mansioni temporanee come giardinieri, ecc.). Ma, pur con questo strumento, il mezzo milione di lavori autonomi scomparsi al momento rimane tale.
Calo dei redditi negli anni della crisi. Si motiva così l’attesa densa di speranze attorno alla riforma che è già stata definita il “Jobs Act del lavoro autonomo”. Se ne discute al Senato e si tratta di un decreto varato dal Governo il 28 gennaio scorso che molto probabilmente diverrà legge entro le prime settimane di settembre, o forse anche prima se in Parlamento i lavori avranno un’accelerazione prima delle ferie agostane.
I suoi contenuti sono abbastanza “tecnici”, ma utili da conoscere perché potrebbero aprire qualche possibilità in più per i professionisti interessati a rimanere a tutti i costi nel campo del lavoro autonomo, nonostante il calo dei redditi registrato negli ultimi anni.
A questo riguardo – per esempio – gli architetti e ingegneri liberi professionisti, per lo più legati all’edilizia, hanno avuto una diminuzione delle entrate lorde dai 35-40 mila euro di 10 anni fa agli attuali 24-25 mila. Una “botta” molto pesante, unita al fatto che per gli studi di settore e l’aumento delle aliquote fisse contributive, ogni anno per i liberi professionisti si presentava lo spettro dei contraddittori con l’Agenzia delle entrate che si rifaceva a redditi presunti ben più elevati. Il decreto in discussione prevede tutele specifiche proprio per questi autonomi e anche per tutti coloro che sono iscritti alla gestione separata dell’Inps. I primi sono i liberi professionisti “ordinisti”, cioè iscritti a un ordine professionale; mentre nel secondo caso, si tratta di lavoratori autonomi senza albo, che erogano servizi diversi con semplice rilascio di fattura.
Facilitazioni e prime forme di welfare per gli “indipendenti”. La riforma prevede di introdurre la deducibilità delle spese di formazione che, per alcune categorie di liberi professionisti (commercialisti, sanitari, ingegneri, ecc.) sono spesso molto pesanti e obbligatorie. Dovrebbe essere introdotta anche una qualche forma di welfare sanitario (per esempio la sospensione dei contributi in caso di grave malattia, come pure una indennità per congedo di maternità che finora le mamme professioniste non hanno mai conosciuto). Si sta discutendo anche di una disciplina fiscale di maggior favore (rimodulazione degli studi di settore) e anche di una migliore definizione dello “smart working”. Altre novità riguarderanno le previste semplificazioni in tema di salute e sicurezza negli studi professionali (per i dipendenti oltre che per I titolari), l’estensione di nuove competenze agli ordini professionali per funzioni di certificazione (come la sicurezza in azienda). E ancora, la riduzione delle aliquote contributive per le gestioni pensionistiche separate; il ritorno di tariffe-parametri non vincolanti nei confronti dei clienti privati. Altre parti della riforma potranno riguardare la possibilità per i professionisti di imporre interessi di mora ai propri clienti (compreso lo Stato) in caso di ritardato pagamento; di modificare il regime fiscale per le società tra professionisti in senso più favorevole e snello (ritenuta d’acconto del 20%). Siamo quindi di fronte a una riforma che, a prima vista, potrebbe apparire meno innovativa del Jobs Act per i lavoratori dipendenti. Ma in realtà gli snellimenti previsti prefigurano una concezione meno burocratizzata del lavoro indipendente, addirittura con la possibilità che i liberi professionisti possano accedere – come già capita per le piccole e medie imprese – ai fondi strutturali europei.