Chiesa di Rieti

La luce nuova di Santa Maria: presentati i restauri della Cattedrale

Restituita alla città dopo il restauro post-sisma, Santa Maria si offre di nuovo come spazio di bellezza e memoria: una serata dall'ombra alla luce, tra musica e parole, per riscoprire il legame che tiene insieme la comunità di Rieti

C’è stato un momento, all’inizio della serata, in cui la Cattedrale sembrava tornare alla sua notte più lunga: le luci quasi spente, il silenzio fitto, la comunità raccolta come in attesa di un respiro. È stato lo stile scelto per inaugurare ufficialmente i restauri della Cattedrale di Santa Maria, alla vigilia della festa di Santa Barbara, patrona della città e della diocesi. Una scelta semplice e al tempo stesso eloquente: far parlare prima l’ombra, poi la luce, come accade ogni volta che una ferita trova la sua via di guarigione.

Il 3 dicembre, nel Duomo di Rieti, il numeroso pubblico ha trovato un luogo finalmente restituito alla sua interezza. Un luogo che negli anni dal sisma del 2016 in poi era diventato simbolo fragile e insieme tenace della città: un edificio che non ha mai chiuso del tutto, grazie a un cantiere complesso che ha permesso di continuare le celebrazioni pur in condizioni difficili. Lo ha ricordato il parroco, don Paolo Blasetti, ripercorrendo il tempo della paura e quello dell’ingegno, dalla messa in sicurezza provvisoria alle prime celebrazioni di nuovo tra queste mura, fino all’avvio del restauro vero e proprio nel 2022.

La serata ha seguito un ritmo fatto di parole, musica, memoria, gratitudine. I tecnici – progettisti, restauratori, responsabili della sicurezza, impresa esecutrice – hanno illustrato con precisione i danni riportati dall’edificio, le fragilità strutturali, le lesioni dell’apparato decorativo, le tecniche antiche riconosciute sulle pareti del Duomo. Hanno mostrato come il restauro sia stato un lavoro duplice: rinforzo e custodia, consolidamento e riscoperta. Una cura che ha riportato alla luce forme, colori, simbologie che appartengono alla lunga storia spirituale e civile della città.

Da questo racconto emergeva il senso stesso dell’“essere cattedrale”: non solo pietre, architetture, apparati artistici, ma un edificio che rappresenta la comunità nella sua interezza, perché la sua bellezza non è fatta solo di forme, ma delle vite che vi si riconoscono. Un “tempio spirituale” che si costruisce interiormente nelle persone prima ancora che nelle strutture, luogo che custodisce la continuità tra generazioni, educa lo sguardo alla bellezza e apre alla speranza, capace di “ringiovanire” se rimane fedele alla sua vocazione.

Il recupero artistico, infatti, ha camminato accanto al recupero architettonico. Le musiche eseguite – tutte legate alla storia della Basilica e frutto della ricerca dell’ensemble “Antonio Rina”, guidato da Angelo Fusacchia – hanno reso percepibile la profondità di un patrimonio che è fatto anche di suoni, di liturgie antiche, di maestri di cappella che in epoche diverse hanno dato voce alla Cattedrale. In quest’intreccio di memoria e presente, il giubileo degli 800 anni del Duomo – avviato il 9 settembre con la celebrazione presieduta dal cardinale Pietro Parolin – ha risuonato come un orizzonte più ampio, in cui questo restauro trova il suo posto naturale.

Dopo la parte tecnica, l’accensione della nuova illuminazione ha segnato un passaggio emotivo. Un applauso lungo, quasi liberatorio, è risuonato nella navata mentre si riempiva di luce. Dettagli un tempo offuscati sono tornati percepibili; i colori della volta e dell’abside si sono mostrati con una limpidezza che molti non avevano mai visto. Giuseppe Cassio, funzionario del Ministero della Cultura, ha letto questo momento come una rigenerazione: una nuova condizione di tutela e fruibilità, frutto di un lavoro che affonda le sue radici nella storia architettonica e artistica della città ma guarda lontano, alla necessità di trasmettere questo patrimonio a chi verrà dopo di noi.

Presente all’evento anche il Commissario Guido Castelli, che ha collocato la vicenda reatina nell’orizzonte più ampio della ricostruzione del Centro Italia, ricordando come ogni intervento post-sisma sia insieme riparazione, responsabilità collettiva e restituzione di senso a una comunità che cerca stabilità dopo anni di incertezza. Ha usato l’immagine del cantiere come luogo in cui ciascuno, dal muratore allo storico, può dire non solo “sto sistemando una pietra”, ma “sto costruendo una casa di Dio”.

A dare un segno ulteriore di continuità tra passato e futuro sono stati gli studenti del Liceo Classico Varrone, che hanno presentato al pubblico la Cappella di Santa Barbara, offrendo un contributo frutto di studio e partecipazione. Una scelta che il Giubileo della Cattedrale sta valorizzando: includere le scuole, far crescere nei giovani un rapporto vivo con i luoghi della storia, non come monumenti inerti ma come spazi che parlano ancora.

La serata si è chiusa con i ringraziamenti del vescovo Vito a quanti hanno contribuito all’intero progetto. Nel suo saluto, mons. Piccinonna ha richiamato l’immagine di una Chiesa che non teme il nuovo, ma che trae dalle sue radici la forza di ogni “primavera” futura: un’immagine che, pronunciata in un luogo appena restituito alla sua bellezza, suonava come una promessa concreta più che come un auspicio.

Quando le ultime note sono svanite, la Cattedrale si è a poco a poco svuotata, ma è rimasta immerse ancora per un momento in una luce piena. Come se qualcosa si fosse ricomposto: non solo un edificio, ma un legame. L’inaugurazione è stata un modo per riconoscere ciò che tiene insieme una comunità – le sue ferite, la sua storia, la sua capacità di rialzarsi – in un luogo che da secoli ne è custode. Forse è questo che i dipinti delle volte restaurate consegnano oggi allo sguardo: una mappa per capire da dove ripartire dopo ogni difficoltà.