Da diversi giorni si parla del caso “Monte dei Paschi”. In tanti si sono appassionati alla vicenda. Lo si può capire, anche al di là dalle questioni che sono al vaglio della Magistratura. A ben guardare, infatti, c’è da seguire una storia avvincente.
I cittadini “qualsiasi” saranno pure poco avvezzi a certe intricate questioni finanziarie, ma hanno subito riconosciuto il torbido triangolo tra politica, amministrazione e finanza.
I protagonisti sono una città, i partiti e una Banca con la sua Fondazione. Tra i comprimari non mancano le potenti lobby delle corporazioni artigiane, professionali e commerciali.
Un bel giro di amici degli amici, insomma. Un gruppo di uomini esperti, che frequenta ogni sera le case e le persone giuste. Una foto di gruppo che racconta una spregiudicata rete di potere locale.
Questa élite, incontrastata, ha fatto il bello e il cattivo tempo perché l’intera città ha aderito al sistema. Certo, era difficile resistere: c’era da far girare un sacco di soldi. Denaro che in origine proveniva della collettività, dal risparmio, dai sacrifici delle famiglie. Ma gli affari sono affari, non si può andare tanto per il sottile.
Così, a poco a poco, in città si riesce a combinare qualcosa solo se in un modo o nell’altro si partecipa al potere della moderna Signoria. La Banca e la sua Fondazione divengono il presupposto per realizzare ogni impresa. Ed ogni realizzazione riporta al nome della Fondazione e della Banca che controlla.
Sembra andare tutto bene. Grazie alle “elargizioni territoriali nel nome della beneficenza”, il sistema per un po’, funziona. Assomiglia ad una sorta di mecenatismo moderno, quasi un servizio pubblico. Ad un certo punto il confine tra Banca e politica è così incerto, che il destino di qualunque faccenda arriva e si risolve sui tavoli della Fondazione. È il suo consiglio di amministrazione a decidere cosa fare e non fare in città.
Lo stesso consiglio di amministrazione da cui entrano ed escono funzionari pubblici, sindaci e assessori. Nulla di strano: in fondo è la politica ad abdicare al mercato, a cedere il proprio primato alle banche, a ridurre la vita ad un esercizio finanziario.
Quasi nessuno si scandalizza nel dover chiedere ad una Banca e alla sua Fondazione quello che prima otteneva dal Comune, dallo Stato, dalle istituzioni.
Educazione, istruzione e formazione, ricerca scientifica e tecnologica, salute pubblica, medicina preventiva e riabilitativa, sviluppo locale, edilizia popolare, recupero del patrimonio artistico, sostegno al volontariato, alle iniziative culturali e allo sport: non c’è quasi bene comune che non porti impresso il marchio di Banca e Fondazione.
A poco a poco questo sistema si rafforza, aumenta di prestigio, prende autorità. La gente non si fa troppe domande: sembra tutto perfettamente normale. Per comodità, o per mancanza di passione civile, in città nessuno fa una piega. Ci si adegua con agghiacciante cinismo, credendo che a conti fatti convenga, che si proceda a fin di bene, che le cose vadano meglio per tutti.
E invece si scopre che i gestori – a Siena – chiusi nell’antico palazzo, avevano tutt’altro che il bene comune in testa. Pensavano soprattutto a concludere sostanziosi affari, a spartirsi il dividendo di azioni spregiudicate, e a nascondere le perdite dietro una continua emissione e compravendita di titoli, sempre più tossici.
Forse l’evoluzione della finanza ha ridotto il rapporto tra Fondazione e territorio ad un semplice problema di possesso e controllo. La Banca cittadina finisce così per diventare la base di una sempre crescente speculazione. In tempi di crisi economica globale, il genio italiano trova strade originali!
Esageriamo? Difficile dirlo. Ma di certo oggi la bella cittadina toscana si trova a doversi liberare, anche se in ritardo, da un sistema di controllo e governo al quale si è legata mani e piedi.
Non sarà facile. In fondo, finché l’insana complicità tra Banca, Fondazione, partiti politici e autorità locali non ha passato troppo il segno, le cose sembravano andar bene. Ma rientrare nei ranghi potrebbe non bastare: bisognerà davvero invertire la rotta e riportare il Monte alla sua vocazione originale, al suo ruolo di banca del territorio.
Coi tempi che corrono, chi vuole avere speranza deve arrangiarsi. Noi ad esempio abbiamo in mente il dipinto di Ambrogio Lorenzetti: Allegorie del Buono e del Cattivo Governo. Guarda caso si trova proprio nel Palazzo Comunale della città dei Paschi. Una coincidenza che ci fa tirare un sospiro di sollievo: per fortuna certi intrecci pericolosi si vedono solo a Siena…