Si è chiuso nel chiostro di Sant’Agostino un pomeriggio sospeso tra preghiera e riflessione, nel cuore del Giugno Antoniano reatino. Nello spazio al centro del colonnato, tra volti giovani e maturi, si è rinnovato il rito semplice e intenso della Giornata della Famiglia e dei Fidanzati. Non è la prima volta, e chi segue la vita diocesana lo sa bene: questo appuntamento è diventato un momento atteso dell’anno, una sosta accogliente nel tempo dei pellegrini e dei devoti al Santo di Padova.
È stato don Giacinto Pietrzak, co‑direttore dell’Ufficio Diocesano di Pastorale della Famiglia, a presiedere l’Eucaristia in Sant’Agostino. Un’occasione di preghiera e raccoglimento dedicata agli sposi e ai fidanzati, condivisa con tutti i fedeli che entrano in basilica per partecipare alla Messa, portare una preghiera, affidare un desiderio o una pena ai piedi di Antonio, confidando nel suo sguardo e sulla sua intercessione.
Poco dopo le coppie si sono riunite nel chiostro attiguo per ricevere la benedizione dal vescovo Vito Piccinonna, che fin dalle prime parole ha invitato i presenti ad abbandonare distrazioni e fretta e a fermarsi sulla realtà più semplice e più essenziale: la realtà dei legami. «Solo Dio sa – ha esordito – quanto in questo momento della nostra vita abbiamo bisogno di sentirci benedetti». Non è un rito scaramantico, e nemmeno una formalità. È piuttosto una preghiera condivisa e sincera, un tentativo di ritrovare un respiro più ampio, in un mondo che corre e frantuma le relazioni, e dove l’amore viene troppo spesso scambiato per attimo e consumo.
«A volte sembra che ci sia la nuvola di Fantozzi sopra di noi», ha ammesso con un sorriso, strappando un po’ di leggerezza dal peso dei pensieri che molti portano nel cuore. Eppure è lì che si apre la riflessione più profonda: la società dei mercati e della tecnologia tenta di governare ciò che è imprevedibile, e finisce per dimenticare ciò che è essenziale. «Qualcuno ha scritto: quando gli uomini non credono più in Dio, credono a tutto», ha ricordato don Vito rilanciando l’immagine di una fede che è respiro dell’anima, promessa e memoria di una realtà più grande.
«Questa benedizione – ha aggiunto – è un affidamento. Ma chi è che crede per primo? Non siamo noi ad aver fede in Dio, è Dio ad aver fede in noi. Altrimenti non ci avrebbe creati». In questa prospettiva l’Amen, la parola conclusiva dei momenti di preghiera, diventa ciò che è veramente: un “così sia” che è impegno e scelta. Non poggiare la propria esistenza sulla sabbia dei momenti facili e passeggeri, ma sulla roccia di ciò che dura e trasforma.
Il momento più intenso è forse stato quando ha chiamato a sé i fidanzati. Alcuni sono insieme da pochi mesi, altri da anni. Qualcuno tentenna e sorride imbarazzato, qualcuno si presenta con coraggio. Francesco e Giulia, Sofia e Giovanni… e chi è insieme da dieci anni, e viene richiamato affettuosamente dal vescovo: «Dieci anni possono bastare! Devono essere più numerosi gli anni di matrimonio dei fidanzamento». Parole dette scherzando, ma che vanno al punto. Dietro l’ironia, un richiamo chiaro: costruire sulla roccia dell’eternità è ciò di cui abbiamo bisogno tutti.
«Dio è geloso di ciascuno di voi», ha proseguito mons. Piccinonna, evocando l’immagine di un padre che accompagna la figlia all’altare, lasciandosi trasportare dal pensiero di come Dio accompagna ciascun legame umano, desiderandone la felicità autentica e rifiutandosi di vederla “scarabocchiata” dal caso o dal disamore. Da qui la preghiera e la benedizione per tutte le coppie presenti, perché facciano dell’amore il loro ritornello e la loro regola di vita.
Una preghiera che si è allargata in un abbraccio per tutte le famiglie, per chi è in attesa di un figlio e per chi attraversa prove e ferite invisibili. Insieme a don Vito c’era l’equipe della Pastorale della Famiglia: i coniugi Sabrina Lattanzi e Andrea Morciano che condividono la responsabilità del servizio con don Giacinto, e Licia Alonzi, che si occupa del settore anziani. Il vescovo ha ricordato la realtà dei legami segnati dal peso della malattia e della disabilità, richiamando l’esempio di una madre che accudisce la figlia disabile e sospira perché qualcuno le dica, almeno una volta, “vai, ci penso io a stare accanto a lei per un po’ di tempo”. Parole che richiamano alla realtà viva di chi è presente e chi è assente, di chi lotta nel silenzio e chi trova conforto nel gesto piccolo e umano di chi è accanto.
«A volte – ha concluso – ciò che è più duro è vivere il peso della prova nella solitudine». Da qui l’invito a una comunità più presente e accogliente, capace di trasmettere e di condividere la benedizione ricevuta, facendola diventare solidarietà, prossimità e ascolto.
Al termine, nel chiostro ormai illuminato dalle luci calde della sera, le parole risuonano come una promessa sospesa nell’aria: una realtà fragile e potente insieme, un seme piantato nel cuore dei presenti e dei molti assenti, affinché diventi germoglio e poi frutto. E nell’Amen conclusivo, ciò che rimane è la sensazione chiara e profonda che ogni legame umano, piccolo o grande, visibile o nascosto, è custodito e amato dal cuore di Dio.