Un grande cerchio di persone di ogni paese e di ogni fede, una lucerna che passa di mano in mano. E poi il canto e la musica, che sempre riescono a unire, a parlare ai cuori al di là della babele delle lingue. Era così piazza San Francesco in occasione della Giornale mondiale del Rifugiato, grazie all’invito fatto dalle realtà impegnate nell’accoglienza per un momento di preghiera comune.
Il segno che unisce l’ha trovato padre Ezio Casella, che in apertura ha domandato: «Quando finisce la notte e inizia il giorno?», e per rispondere ha ripreso le parole di un rabbino: «Quando vedendo un uomo riconosco che è un mio fratello».
Un passaggio simboleggiato dall’accensione di una lampada tenuta a turno dal vescovo Domenico dall’imam Ahardan, dall’avventista Sabrina Casciola, da padre Gabriel degli ortodossi ucraini, da padre Kingsley della Glorius Gospel di Cristo, dai monaci buddisti di Santacittarama di Poggio Nativo, e dai buddisti di Soka Gakkai.
Un gesto nel quale mons Pompili ha affidato un tratto di realismo e speranza, perché le migrazioni «sono una costante della storia umana e sono destinate ad accompagnarci sempre», e probabilmente hanno sempre suscitato paure che è inutile negare o nascondere. «Hanno a che fare con lo sconosciuto, con la crisi economica che morde, con la fatica che fa a stare insieme una comunità che è al suo interno già sfibrata», ha elencato puntualmente don Domenico, per guardarle in faccia e «non lasciarsi sopraffare, ma esorcizzarle». E soprattutto per evitare che «la paura venga agitata ad arte per creare il panico».
Essa, infatti, può essere attraversata, può lasciare spazio alla convivenza se si è reciprocamente responsabili: «chi accoglie e chi è accolto». L’integrazione, ha avvertito il vescovo, «non è un processo automatico, che può essere giocato semplicemente su alcune norme da rispettare, ma una tendenza del nostro animo che ci mette in gioco». E la partita può essere vinta solo se si punta alla pace, a un sentimento più completo di quanto non sia la riduttiva e banale tolleranza. Perché la pace si trova nella capacità di valorizzare «l’altro come qualcosa che arricchisce ognuno di noi».
Parole impegnative in una manifestazione un po’ controcorrente rispetto al clima generalmente percepito in città. Nelle piazze reali e virtuali si respira infatti un sentimento fin troppo disinvolto di fastidio verso lo straniero.
Ed è bello che piazza San Francesco faccia eccezione, perché in questa fine di giugno rimanda proprio a san Francesco e a sant’Antonio, uomini di pace e di dialogo, uomini di un tempo intriso di paure verso ciò che non si conosceva e comprendeva, che entrambi seppero superare per andare oltre le barriere e costruire la via della pace.
La Lucerna accesa sarà custodita per tutto il 2018 in San Francesco, per poi essere affidata, di anno in anno, a un’altra comunità.